Certo, rabbrividisco al solo ricordo della conversazione di Donald Trump con il giornalista nipote dei Bush sulle donne. Certo, vorrei imparare a memoria il discorso di Michelle Obama a pochi giorni dalla messa in onda di quella conversazione “rubata”. Un discorso che voleva essere (anche) un superendorsement a Hilary Clinton, in quanto democratica, in quanto donna, in quanto (?) quindi paladina dei diritti delle donne.
Eppure capisco le donne che non hanno votato Hillary. E devono essere tante, di classi sociali e livelli di istruzione diversi. Tra queste ci possono essere anche delle donne che non l’hanno vista come paladina dei diritti delle donne. Anzi. Se fossi americana, alla fine probabilmente io l’avrei votata lo stesso, ma capisco chi, femminista o no, ha scelto di non votare o addirittura di votare Trump.
Perché? Perché non basta essere la prima donna candidata alla presidenza Usa per meritare il voto delle donne. Nessuna donna – americana o no – nessuna elettrice puo’ aver dimenticato la vicenda Lewinsky e tutto quello che si sa delle scappatelle di Bill Clinton prima e dopo e del suo atteggiamento predatorio nei confronti di stagiste, collaboratrici e chissà chi altri. Hillary ha sempre perdonato (ma quali saranno stati i termini del perdono?), forse per vero amore, forse per calcolo di lungo periodo per la sua carriera politica e fame di potere e ambizione di passare alla storia. E cosi, ai miei occhi, ha dimostrato di non rispettarsi fino in fondo come donna e, peggio, di essere disposta a sacrificare la verità dei sentimenti, del proprio essere, per ambizione di potere. Cio’ che meno mi piace negli uomini. E nelle donne.