Sono nata nel 1966 a Offida, in provincia di Ascoli Piceno. Sono figlia di un noto magistrato antiterrorismo (la mia “guida ingombrante ” come lo definisco nel libro La giudice) e sono cresciuta circondata dai colleghi di mio padre, che frequentano la nostra casa gustando il timballo di scrippelle di mia madre e che, in alcuni casi, sono morti sotto il piombo della mafia e del terrorismo “per rendere la nostra una democrazia compiuta “. L’esperienza vissuta in famiglia, all’ombra dell’unico modello possibile di magistrato, quello maschile, mi ha spinta a percorrere le orme paterne non immaginando che l’uniforme da magistrato “potesse cambiare da uomo a donna “. Oggi lavoro al Tribunale Penale di Roma ed ho alle spalle l’esperienza da pretore in ambito di diritto civile, diritto penale e diritto del lavoro e di giudice nelle materie civili, delle esecuzioni immobiliari e penali. Mi sono anche occupata della formazione dei magistrati del Lazio e tra il 2009 e il 2010 ho presieduto il Collegio, appositamente costituito presso il Tribunale di Napoli, per l’emergenza rifiuti in Campania. Ho pubblicato sulle riviste specializzate numerosi provvedimenti giudiziari in materia d’immigrazione, ambiente, urbanistica, reati contro le donne. Il mio ultimo libro si intitola “La mia parola contro la sua. Quando il pregiudizio è più importante del giudizio”, edizione HarperCollins.
Il DDL sul contrasto alla violenza di genere approvato dal Consiglio dei Ministri contiene norme che modificano il codice penale, di procedura penale, antimafia e ad alcune leggi speciali. Si interviene in particolare sull’ammonimento del Questore (artt. 1 e 2) cioè il provvedimento con cui detta Autorità, su richiesta della persona offesa e assunte, se necessarie informazioni, intima la persona segnalata “a tenere una condotta conforme alla legge”. Il DDL estende l’ammonimento a diversi reati, ne consente l’emissione anche senza denuncia della vittima e se l’autore reitera la condotta il reato diventa procedibile...
Il pensiero della differenza di genere ci ha insegnato che essere un uomo o una donna, in qualsiasi contesto, non è un dato neutro. E’ l’unico dato, originario, con cui facciamo i conti, da quando nasciamo a quando muoriamo. Anzi, che ci portiamo oltre, anche nella memoria altrui. L’essere stati noiosi, neri, bianchi, coraggiosi, arroganti, omosessuali, sposati, corrotti finisce con il nostro corpo. Quel che resta, imperituro, è il nostro nome al maschile o al femminile.
Appartenere ad un genere segna la storia di una vita, di un progetto, di un modo di essere, di un’aspettativa sociale, di un ingabbiamento...