Over 50 e lavoro, serve una nuova cultura dell’invecchiamento

In Italia ci sono attualmente 10 milioni di lavoratori over 50, un numero raddoppiato negli ultimi 20 anni. Eppure, all’interno di uffici e aziende, l’invecchiamento continua a rimanere taciuto.
Si investe sempre di più in ottica di supporto alle fasi di vita – si pensi alla genitorialità o al caregiving – ma è come se, arrivati a un certo punto, ci si fermasse.  La seconda metà dell’esistenza non è oggetto di servizi, politiche di conciliazione o percorsi di formazione. Manca la lente su temi come: diventare nonni, andare in menopausa o andropausa, perdere motricità, sperimentare i primi segni di deterioramento cognitivo.

Gli over 50 hanno molto da dire

Nell’immaginario comune l’invecchiamento è legato alla perdita: di flessibilità, memoria, capacità. Non sorprende, dunque, che sia spesso taciuto proprio nei contesti lavorativi, dove il mito dominante è quello della produttività, della performance e della velocità.
Tutti aspetti difficili da associare a chi ha già fatto il giro di boa del mezzo secolo. Eppure, è proprio qui che si nascondono due trappole. La prima è pensare che le persone over 50 non possano più contribuire come un tempo al successo dell’azienda. In realtà, i cosiddetti “senior” custodiscono memoria storica, esperienza e tutte quelle competenze tacite del mestiere. La questione sta nel valutare le loro performance su metriche aggiornate, per non correre il rischio di utilizzare, ad esempio, quelle associate ai più giovani.  

L’invecchiamento è cambiato

La seconda trappola, invece, si annida nel pensare che oggi invecchiare sia uguale a come a venti o trent’anni fa. Il concetto stesso di “invecchiamento” è cambiato. Un tempo, superati i 50 anni, si smetteva di lavorare e si adottava uno stile di vita ritirato. Oggi, le persone continuano ad essere attive anche molto oltre il mezzo secolo. A contribuire: il pensionamento sempre più tardivo, la medicina e gli stili di vita più sani.
A tal proposito, il rapporto “Panorama delle pensioni 2025” dell’Ocse stima che nei prossimi 40 anni molti paesi saranno costretti ad aumentare l’età pensionabile. Per l’Italia, la proiezione arriva a 70 anni e oltre. Questo scenario rende ancora più evidente quanto sia urgente riconsiderare il modo in cui raccontiamo e viviamo l’invecchiamento, soprattutto nei luoghi di lavoro. Nonostante infatti la società si stia gradualmente spostando da una visione di declino a una di “invecchiamento attivo”, ancora si fatica ad applicare questa lente al contesto professionale. Con la conseguenza che gli over 50 finiscono per essere i non visti. Tranne alcune eccezioni.

Chi resta fuori

Chi ha più di 50 anni è riconosciuto e visto se è uomo e ricopre un ruolo di responsabilità, prestigio e rilievo. O, detto al contrario, chi occupa ruoli di responsabilità, prestigio e rilievo è spesso un uomo over 50.
Per tutti gli altri lo spazio si restringe. E non è raro che – soprattutto alle soglie dei 60 anni – si cominci ad essere percepiti come un peso dal proprio datore di lavoro. Senza contare che si è molto più a rischio di prolungata disoccupazione in caso di licenziamento. Per i “senior”, infatti, ricollocarsi è estremamente complesso. Esistono barriere occupazionali difficilmente arginabili. Si pensi non solo agli stereotipi legati all’età, ma anche ai bias nei processi di selezione, ai costi talvolta più elevati, oppure alla difficoltà di allineare le competenze e le esperienze a quelle del mercato.

Per includere davvero i lavoratori over 50 occorre dunque ripensare metriche, percorsi, politiche e linguaggi. È necessario superare la narrazione del declino e costruire una cultura del lavoro capace di valorizzare ogni fase della vita. Solo così le aziende potranno affrontare le sfide demografiche del prossimo futuro diventare realmente luoghi equi per tutte e tutti. A prescindere dall’età.

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  • Massi |

    Ma quale? Io, spero di andare in pensione molto ptima, e fare altri lavori, per i fatti miei.
    Non mi piace il lavoro dove sono adesso, potrei cambiare ufficio, ma lasciamo perdere che è meglio.

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