Famiglia, le donne svolgono ancora 2,5 volte in più il lavoro domestico

Fare il bucato, cucinare, pensare alla dispensa. Aiutare i figli con i compiti ma anche assistere gli anziani della famiglia. Pensare alle manutenzioni di casa e alla contabilità domestica. Sono solo alcune delle mansioni che ricadono sotto il cappello del cosiddetto second shift (in italiano, il secondo turno). Ovvero tutte quelle attività – tanto essenziali quanto sottovalutate – svolte tra le mura di casa prevalentemente dalle donne, dopo il loro impiego retribuito.

La cura è parte integrante nella gestione di una famiglia ma quando questo lavoro è invisibile, non valorizzato e sproporzionato, allora diventa un problema.

Non si tratta solo di uguaglianza, ma è anche una questione economica. Il lavoro di cura non retribuito aggrava la povertà, ostacola la partecipazione al mercato del lavoro e limita la capacità di partecipare alla vita sociale. In breve, compromette l’emancipazione femminile.

Finisce così che le donne devono spesso accontentarsi di lavori precari, flessibili e mal retribuiti così da potere bilanciare il loro carico di lavoro nell’assistenza.

Disuguaglianza in dati

Le donne danno un grande contributo all’economia, arrivando anche a colmare le lacune nei servizi.

A livello globale, stima l’Onu le donne svolgono almeno 2,5 volte più lavoro domestico e di cura rispetto agli uomini, per una quota compresa tra il 10% e il 39% del prodotto interno lordo degli Stati membri.

Nel Vecchio continente, secondo i dati della Commissione Europea, il 79% delle donne cucina e svolge lavori domestici ogni giorno, contro il 34% degli uomini.

Questi compiti tendono a ricevere meno attenzione rispetto al lavoro retribuito, ma sono di vitale importanza. Se infatti non vengono svolti gratuitamente da un membro della famiglia, devono essere esternalizzati a un certo costo. Prendiamo, ad esempio, la cura dei bambini o degli anziani.

A livello globale, le donne dedicano 2,8 ore in più rispetto agli uomini all’assistenza e al lavoro domestico. Di questo passo, stando ai dati di Un Women, il divario tra il tempo dedicato dalle donne e dagli uomini per l’accudimento si ridurrà leggermente ma al 2050 le donne a livello globale dedicheranno ancora il 9,5% in più di tempo (o 2,3 ore in più al giorno) a questi compiti rispetto agli uomini.

Spesso, il lavoro di cura non è riconosciuto come un’occupazione legittima, e questo impedisce il suo computo nelle attività professionali e retribuite.

Modello colombiano

Un modello di riconoscimento del lavoro domestico arriva dal Sud America. La Colombia – dove le donne dedicano in media più del doppio del tempo rispetto agli uomini a queste attività, con picchi nelle aree rurali – nel febbraio 2025 ha varato la sua nuova Política Nacional de Cuidados (Politica Nazionale dell’Assistenza): un piano decennale da 25 miliardi di pesos che mira a ridurre il sovraccarico del lavoro di cura e valorizzare l’assistenza comunitaria.

La strategia colombiana passa anche dall’integrazione del lavoro non retribuito nei sistemi di misurazione economica ufficiali. Il Paese ha quindi creato un Conto Satellite dell’Economia della Cura e calcolato che oggi questo rappresenta circa il 20% del Pil espanso. In altre parole, se fosse pagato, sarebbe uno dei settori più importanti dell’economia nazionale, come ha sottolineato Natalia Moreno Salamanca, direttrice dell’Assistenza presso il Ministero dell’Uguaglianza e dell’Equità in Colombia.

La misurazione del lavoro lo valorizza e lo trasforma da fardello privato a responsabilità pubblica.

Ingiustizia senza età

Il lavoro domestico non pagato non risparmia nemmeno le bambine. L’iniquità nella distribuzione dei compiti prende forma già nella prima infanzia, a partire dalle mura di casa. A livello globale, stima Unicef, bambine e ragazze di età compresa tra i 5 e i 14 anni dedicano 160 milioni di ore in più ogni giorno all’assistenza non retribuita e al lavoro domestico rispetto ai ragazzi di pari età.

Lo studio Real Choices Real Lives di Plan International ha seguito la crescita di circa un centinaio di ragazze provenienti da 9 Paesi dalla nascita, nel 2006, fino ai 17- 18 anni scoprendo che per quasi la totalità di loro (il 94%) il lavoro di cura non retribuito era parte della vita quotidiana. Il tempo medio dedicato a queste attività era di 5 ore e 15 minuti: più del doppio di quello mediamente assegnato ai compiti scolastici.

Il carico di lavoro non solo influisce sulle loro vite – con le ragazze coinvolte nello studio che hanno riportato alti livelli di stress, mancanza di sonno e isolamento sociale – ma ostacola anche la loro istruzione. Ad aggravare la situazione, povertà e mancanza di infrastrutture.

Il lavoro delle ragazze viene spesso visto come “aiuto” e non come vero lavoro, riducendone il riconoscimento.

Ostacolo al lavoro retribuito

Vale anche la pena notare che il lavoro domestico non retribuito delle madri spesso sostiene la partecipazione alla forza lavoro dei padri: la cura familiare, sebbene non riconosciuta, offre infatti una stabilità che permette agli uomini di lavorare fuori casa.

Secondo le stime globali dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) pubblicate lo scorso ottobre in occasione della Giornata internazionale dell’assistenza e della cura, 708 milioni di donne nel mondo sono escluse dalla forza lavoro a causa di responsabilità legate al lavoro di cura non retribuito.

Nel 2023, circa 748 milioni di persone in età lavorativa (dai 15 anni in su) non partecipavano al mercato del lavoro per via delle responsabilità legate alla gestione della casa e della famiglia, il che equivale a un terzo di tutte le persone che si trovano al difuori della forza lavoro. Di queste, 708 milioni erano donne e 40 milioni erano uomini.

«Le aspettative sulle donne e le norme sociali legate al loro ruolo di assistenza e di cura limitano ulteriormente l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro e acuiscono le disuguaglianze di genere», ha commentato Sukti Dasgupta, direttrice del Dipartimento sulle Condizioni di lavoro e l’uguaglianza dell’Oil.

Una questione politica

Il lavoro domestico non retribuito non solo è visto come un “lavoro da donne”, ma spesso non è nemmeno considerato come un lavoro “vero”. Perché, spiega Emma Holten nel suo saggio Deficit – un’analisi di come la società sia governata da modelli economici che non misurano il valore della cura – quando tutto è definito da un prezzo, si crea una gerarchia dove ciò per cui è più difficile calcolare un esatto valore, come il lavoro di cura e accudimento, finisce in fondo alla lista.

Ma questo non significa che queste cose non abbiano valore; solo che in politica e nel dibattito economico vengono trattate come se non ne avessero.

Senza politiche pubbliche che riflettano le attuali esigenze di assistenza di genere (flessibilità sul posto di lavoro e l’assistenza all’infanzia a prezzi accessibili, ad esempio), le donne continueranno a vivere in condizioni di svantaggio.

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