Dopo 26 anni torna una donna a Dowing Street. Theresa May, 60 anni a ottobre, si avvia a diventare la seconda donna a guidare il governo britannico dopo Margaret Thatcher. Sarà il 54esimo premier britannico. Il tutto avverrà mercoledì prossimo, quando l’attuale primo ministro David Cameron incontrerà la regina per formalizzare le proprie dimissioni. A quel punto la regina convocherà Theresa May, come leader del partito di maggioranza, per invitarla a formare il nuovo governo.
Ministro dell’Interno fra i più longevi del suo Paese, May era da tempo considerata come potenziale futuro leader del suo partito e l’avuta vinta su Andrea Leadsom, ministra dell’Energia, che ha annunciato di ritirarsi dalle primarie del partito conservatore. Figlia di un pastore anglicano del Sussex, May proviene, come già fu per la lady di ferro, da un ambiente molto più modesto di quello dei tanti uomini educati a Eton e Oxford che circondano il primo ministro uscente David Cameron. Anche la nuova premier, che ha studiato nelle scuole statali, è stata a Oxford, ma grazie ad una borsa di studio. Prima di entrare in politica come deputato conservatore nel 1997, lavorava alla banca d’Inghilterra.
Ministro dell’Interno dal 2010, ha ottenuto molta notorietà nel 2013 quando è riuscita ad espellere dal Paese l’imam radicale Abu Qatada, ma è stata criticata per non aver mantenuto la promessa del governo di portare il numero netto degli immigrati sotto i 100mila l’anno. Schierata a favore del Remain al referendum sulla Brexit, ha assicurato che rispetterà l’esito della consultazione portando la Gran Bretagna fuori dall’Unione Europea ed ha escluso elezioni anticipate. Ritiene che la richiesta formale di uscita dall’Ue non potrà arrivare prima della fine dell’anno, per avere il tempo di definire la posizione britannica nel negoziato. In quest’ambito, May ha precisato che lo status dei cittadini europei residenti in Gran Bretagna farà parte delle trattative, senza garantire quindi che possano rimanere.
Sostenitrice della modernizzazione del partito conservatore, May ha sempre spinto per una maggior presenza femminile fra i deputati Tories. Oggi promette di unificare il partito e il Paese dopo lo shock della Brexit e di mettere il suo partito “al servizio della gente che lavora”. Considerata una ‘tosta’, la nuova leader dei Tories viene paragonata dal Guardian ad una preside che mantiene la calma davanti ad una classe di allievi turbolenti. Calma che le sarà assolutamente necessaria per portare il Paese attraverso la transizione che lo aspetta. Di fronte alla vittoria dei sì all’uscita dall’Unione Europea, si sono tirati indietro tutti quei politici che per quel risultato si erano battuti, da Nigel Farage leader dell’UK Independence Party (UKIP) all’ex sindaco conservatore di Londra Boris Johnson. D’altra parte è da subito stato chiaro che ci si trovasse di fronte a un evento dalla portata non immediatamente misurabile. Chi poi si farà carico di far rispettare l’esito del referendum si renderà anche politicamente responsabile delle eventuali conseguenze negative che il processo avrà sull’economia del Paese. Un rischio che in tanti non si sono sentiti di correre. Almeno questo è già un merito da attribuire a May. Se poi è coraggio o incoscienza, lo sapremo solo fra qualche anno.