Il teatro Olimpico di Vicenza è un gioiello: un luogo antico, piccolo piccolo, interamente in legno. Qui, il 25 maggio alle 21, la XXV edizione delle “Settimane Musicali” (20 eventi fino al 15 giugno) si è aperta con il celeberrimo quintetto per pianoforte e archi op. 34 in una ricostruzione che immagina l’originale stesura di Brahms Sul palco anche Sonig Tchakerian, violinista italoarmena italiana di adozione e di residenza, un talento straordinario rivelatosi in tenerissima età: «Ho iniziato a studiare sotto la guida di mio padre: non ho mai dovuto chiedermi cosa avrei fatto da grande, è stato naturale», racconta.
A 16 anni il diploma con il massimo dei voti e la lode, con Giovanni Guglielmo. Poi si è perfezionata per alcuni anni con Salvatore Accardo a Cremona, oltre che con Franco Gulli a Siena e con Nathan Milstein a Zurigo. Dall’anno accademico 2009/2010 le è stata affidata la classe di violino nell’ambito dei corsi di alto perfezionamento dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma.
Donna e musicista, come vive questi due ruoli?
«Essere donna è una possibilità straordinaria di trasmettere vita e affetti, una responsabilità e una gioia che ho ricevuto. Naturalmente tutto poi si riflette nell’emotività e quindi, musicalmente, nello studio, nel suono, nelle emozioni, sul palcoscenico. Il talento aiuta ma, ovviamente, non basta a rielaborare le difficoltà della vita quotidiana. Noi donne probabilmente non siamo mai libere in questo senso. Fortunati gli uomini che – scusate se generalizzo – sembra riescano ad essere più autonomi e liberi quando si dedicano al lavoro. Ammetto di aver invidiato questo aspetto e aver voluto essere uomo in certi momenti. Ma ho decisamente cambiato idea, gli anni che sono passati mi hanno fatto capire la bellezza di essere figlia, moglie e soprattutto madre, come fosse una grazia ricevuta».
Ci sono differenze oggettive tra uomo e donna nell’affrontare la carriera musicale?
«Mi sembra di si. Sento che siamo più articolate nella personalità, come avessimo più priorità contemporaneamente rispetto agli uomini. Mi riferisco ovviamente all’essere madre e figlia, con il pensiero e il cuore che quindi non riesce ad essere completamente attento al lavoro: almeno questo ho vissuro nella mia esperienza. E questo, capisco ora, non è solo una debolezza o una grande fatica in più. È una intensità interiore che ci accompagna nella vita e quindi nel lavoro e sul palcoscenico».
Che cosa significa “fare musica”?
«La musica migliora la vita di tutti noi, di chi la fa e di chi la ascolta. Suonare in Olimpico, in particolare, è come una meditazione collettiva, si sperimenta un senso di fusione che parte dal suono e diventa spirituale. Suonare ha sempre a che fare con gli affetti. A partire dal rapporto tra allievo e maestro, un rapporto diretto, personale, che forgia l’esperienza di vita, resta per sempre e si rinnova continuamente. Il mio suonare alle Settimane musicali riflette questo sentire: ogni anno suono assieme a grandi artisti, che sono anche (o prima di tutto) amici e persone con le quali esiste un legame di rispetto reciproco, che diventa armonia, un senso di familiarità e di condivisione che ci permette di ricreare – insieme- la grande musica».
Cosa possono imparare le donne (anche non musiciste) dalla sua esperienza di vita e professionale?
«Posso dire quello che io penso di aver imparato. Nella mia carriera ho preferito parlar di me e parlar con gli altri più con la musica che con le parole, misteriosamente a condividere sentimenti e ad avvicinare le anime. È necessario però mettersi in gioco e aprirsi agli altri per comunicare: la tecnica serve, ma non basta per fare la differenza, sul palco come in ogni professione. Quando poi si suona assieme, nasce un dialogo tra persone, un contatto umano che diventa musica. Credo che questo serva anche nella vita di ciascuno di noi, e non solo delle donne, naturalmente».
La vita professionale è fatta di lavoro e sacrificio, di impegno, ma deve diventare anche fonte di soddisfazione. Incoraggio le donne a comprendere, senza pudori, le proprie passioni e i propri talenti, e a perseguire ciò che le fa sentire complete, come a me accade con il violino. Credo che questo sia possibile anche in altri ambiti professionali, pur diversi da quello artistico».
«In questa fase della carriera, inoltre, dopo aver tanto ricevuto dai miei maestri, che restano sempre “Persone del cuore”, sto apprezzando anche la bellezza di trasferire la propria esperienza ai più giovani. Suonare assieme agli allievi dà moltissimo anche a noi musicisti maturi. È un momento di ascolto dell’altro, una scoperta di un punto di vista diverso, che arricchisce tutti. La carriera si rinnova e trova ulteriori spunti proprio da questo reciproco riscoprirsi; e questo ritengo sia fondamentale in ogni contesto professionale».
(grazie ad Anna Baldo per essere stata l’artefice di questo incontro)