È chiaro ormai da molti anni che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcuni atenei hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana.
Scriveva così Il Gruppo di Firenze in una Lettera aperta al Presidente del Consiglio, alla Ministra dell’Istruzione e al Parlamento firmata da 600 illustri esponenti del mondo della cultura italiana: numerosi accademici della Crusca, docenti, storici e costituzionalisti. Ma la lista è in continua crescita.
Dopo aver letto l’incipit della lettera ho aperto il quaderno di mio figlio (terza elementare) e ho cercato di capire dove si potesse inceppare la macchia dell’istruzione. Ho trovato poesie di Rodari, dettati, temi e le istruzioni per una buona lettura. Oltre che le immancabili righe rosse a segnalare gli errori da terza elementare. Tutto mi sembrava sotto controllo.
Indubbiamente però da qualche parte la grande macchina s’inceppa se gli ultimi dati prodotti dalla sesta indagine Pisa–Programme for International Student Assessment promossa dall’Ocse per fotografare le competenze dei quindicenni confermano la preoccupazione degli illustri firmatari: i nostri ragazzi sono migliorati in matematica, ma in italiano sono sotto la media OCSE.
In Italia quasi un quinto degli studenti si trova sotto la soglia critica delle competenze minime necessarie per poter fare della lettura un’attività funzionale.
Eppure, nonostante i risultati inferiori alla media Ocse, gli studenti italiani passano più tempo a scuola e sui libri: 29 ore in classe e 21 dedicate ai compiti a casa per un totale di quasi 50 ore a settimana, contro una media Ocse di 44 ore.
A leggere i commenti che stanno animando il dibattito sulla ormai famora Lettera di denuncia del problema, come in un effetto domino, tutti i gradi scolastici sentono il peso della responsabilità e si stanno passando la palla. Dall’università in giù: scuole superiori, medie inferiori, scuola primaria…forse arriveremo anche alla scuola dell’imfanzia. E poi? E poi, inevitabilmente, si arriverà lì, dove tutto parte: la famiglia. Perché la scuola dovrebbe compensare le mancanze linguistiche della famiglia. E della famiglia, come del fondamentale ruolo sociale degli insegnanti, nel documento, non c’è traccia.
Infatti, se nella sostanza i docenti hanno il merito di aver riportato in primo piano un dibattito acceso da decenni, le proposte che avanzano appaiono forse un po’ deboli e retoriche e puntano su revisione e controllo. Con un immancabile consiglio sulla scrittura corsiva a mano. Perché un po’ di “colpa” non la vogliamo attribuire anche al fatto che i giovani scrivono troppo poco a mano e con troppi aiuti tecnologici?
Ed ecco quindi arrivare, puntuale come la pagella di fine anno, il controappello che porta la firma di Maria G. Lo Duca. Tra i firmatari anche il prof. Michele Cortelazzo, accademico corrispondente dell’Accademia della Crusca, professore ordinario e Direttore della Scuola Galileiana di Studi Superiori dell’Università di Padova che, contrariamente al gruppo dei 600, difende, nei contenuti, i programmi. Perché le regole sono dettate dai programmi. E i programmi dicono che “l’acquisizione della competenza strumentale della scrittura, entro i primi due anni di scuola, comporta una costante attenzione alle abilità grafico-manuali e alla correttezza ortografica”. Questo significa che i bambini, entro la seconda elementare, devono imparare a scrivere a mano e senza errori di ortografia. Cosa c’è quindi da cambiare? Forse il modo di scrivere i programmi, ma non i contenuti che sono promossi a pieni voti.
E gli studenti? Sono davvero peggiorati rispetto al passato? Il gruppo dei 600 lamenta il divario tra presente e passato. “A questo proposito – sottolinea Cortellazzo – ricordo che Francesco D’Ovidio nel 1871 nel Discorso alle scuole elementari di Massalombarda già scriveva «Salvo i giovanetti di mente sveglia, gli altri, sebbene non stupidi addirittura, arrivano al Ginnasio, passano al Liceo, entrano nell’Università, e finalmente anche nelle professioni, nei pubblici ufficj, nel Parlamento, che non sanno cansare gli errori più ovvj d’ortografia». Quindi nulla di diverso da quello che raccontano oggi i docenti scandalizzati.
Sono passati gli anni e i docenti continuano a scrivere belle lettere, ricche di contenuti e impeccabili nella forma…e gli studenti? Gli studenti, per ora le leggono e aspettano che il dibattito si concretizzi.