Diario di una sopravvissuta ai primi tre mesi di maternità

Sono le 5 del mattino. La notte è passata abbastanza liscia. Solo un risveglio, alle 2.

Sono passati tre mesi dalla nascita di Federico. Tre mesi di notti insonni, di stanchezza perenne, ma anche di sorrisi improvvisi e coccole. Federico ora riesce ad afferrare gli oggetti, li porta alla bocca per esplorarli. Ogni cambiamento è una scoperta, ogni cambiamento è crescita, ogni cambiamento è un passo in più che allontana mio figlio da me.

É appena nato eppure sto già facendo i conti con il senso di vuoto che un figlio può lasciare quando spicca il volo. «Ti devi abituare, Giulia» mi dico ogni giorno. Abituare all’idea che un giorno diventerà grande e prenderà strade del mondo che io potrei non avere mai esplorato prima di lui e magari non sarò in grado di capirlo e – ancora peggio – di aiutarlo e di indirizzarlo nella maniera giusta.

Qualche anno fa una persona mi ha detto: «I figli non sono di nostra proprietà, noi ci limitiamo a darli al mondo». “Dare al mondo” non solo nel senso letterale di mettere al mondo, ma nel senso più profondo di donare al mondo. Ci penso ogni giorno a quelle parole. Le ho fatte mie, quasi a cercare una rassicurazione.

L’allattamento

La vita è così, la maternità è così e io ne sono consapevole. Eppure il senso di vuoto continua. Cosa mi manca? Mi guardo allo specchio. Quella che vedo, non la riconosco. La tenacia e la forza sulle quali ho sempre potuto fare affidamento, ora non ci sono più. Ma da quando sono diventata così fragile al punto da farmi entrare in crisi ad ogni minima parola che le persone dicono?

“Chissà quanto latte beve dal tuo seno”, mi dicono, “E se non ne beve abbastanza? Vogliamo far morire di fame questo piccolo?”. E quando poi si interviene con il latte artificiale che Federico ingurgita voracemente, la frase pungente arriva puntuale : “Hai visto? Questo bambino stava morendo di fame!”.

É la goccia che scava la roccia. Quelle parole apparentemente innocue diventano per me un piccolo attentato quotidiano al mio rapporto con mio figlio e al mio essere madre. Ho quasi paura a rimanere da sola con mio figlio e il mio istinto. Una delegittimazione costante giustificata da una presunta esperienza che gli altro hanno e io no. «Che madre degenere che sono – mi dico – Non posso rischiare che il bambino non mangi abbastanza. Forse questa cosa dell’allattamento sta diventando un’ossessione». Ma il latte c’è, la montata è arrivata, il bambino si attacca al seno ma si attacca male e le ragadi mi procurano un dolore che diventa ogni volta più intenso. Ogni sessione di allattamento diventa un braccio di ferro tra la mia volontà di continuare e il dolore fisico lancinante.

Un’ostetrica per le neo-mamme

In questo percorso doloroso al quale però non voglio rinunciare, sono accompagnata da un’ostetrica che mi segue a casa. Un aiuto fondamentale per tutte le neo-mamme, un lusso che potrebbe non esserlo più in Lombardia. La regione, infatti, ha appena avviato il progetto pilota “Continuità assistenziale ostetrica: la prima visita domiciliare dopo il parto“, un’iniziativa che porta l’ostetrica direttamente nelle case delle famiglie nei primi giorni dopo la nascita del bambino.

L’assessore regionale al Welfare, Guido Bertolaso, ha presentato il progetto approvato dalla Giunta regionale con un investimento di 500.000 euro per dodici mesi di sperimentazione.

L’allattamento è la fase più delicata e difficile per una neo mamma. Non ne ero veramente consapevole fino a questo momento. Sfianca e riempie di aspettative un gesto che con assoluta naturalezza ho fatto appena avuto in braccio per la prima volta Federico. Erano le 2:45 di una delle prime calde notti di maggio, e dopo quasi 30 ore di induzione e un cesareo d’urgenza, avevo dato al mondo 3 chili di bambino. Appena preso in braccio, dopo essermi fatta ricucire la pancia, il gesto è stato automatico come a confermare la sua primordialità.

Nonostante le rassicurazioni scientifiche, il dubbio innestatomi nella testa che il bambino non mangi abbastanza mi assilla. Cerco di andare avanti per la mia strada, di continuare ad allattare. É troppo importate per lui e anche per me. Ma non ho fatto i conti con un altro dolore. Quello del cesareo. La cicatrice è perfetta ma fa malissimo ad ogni sforzo addominale che faccio. Durante la notte tutto si amplifica. Mi sveglio ad ogni minimo sussulto di Federico mettendomi sull’attenti velocemente. Il dolore è alle stelle, ma mi devo mettere in moto, preparare l’aggiunta di latte da dare a Federico e provare ad allattare anche se le braccia per reggere il bambino non mi reggono e l’incubo di addormentarmi improvvisamente e schiacciarlo con il mio peso mi perseguita.

Saper chiedere aiuto

«La maternità è il momento più bello nella vita di una donna»  mi dicono. «Devi essere serena e tranquilla, il bambino percepisce la tua ansia» mi ripetono. Lo so, ma è difficile, ho bisogno di aiuto. I miei genitori abitano lontano ma ho amiche e colleghe pronte a tendermi la mano. E io mi ci aggrappo. Disperatamente. Anche perchè un malessere intangibile si fa largo piano piano. Amo mio figlio, ma non passo giorno senza piangere. Mi chiedo cosa c’è che non va. A chi me lo chiede, non riesco a dare una risposta. A chi lo vuole sapere veramente basta incrociare il mio sguardo. Non un parola, solo lo sguardo di chi ha un disagio interiore mai provato prima.

La sensazione di essere sola ad affrontare quella situazione nuova, bellissima e impegnativa, nonostante un marito presente e amorevole. E quando capisco che l’altra persona ha percepito il mio malessere e lo comprende, le lacrime tracimano ogni limite fisico ed escono fuori come in una catarsi.

I cambiamenti del corpo

I capelli cadono come mai era successo prima e la vista si è aggravata. Come può una cosa così bella essere così devastante? «É normale» mi dicono. Come se bastasse a tranquillizzarmi. Non riconosco più il mio fisico, non capisco le emozioni che provo, non mi riconosco come madre. L’istinto c’è ma viene soffocato da chi mi fa capire che sono “troppo inesperta per fare da sola”. E allora chi sono? Intanto lui cresce a vista d’occhio. Si addormenta solo in braccio e ad ogni minimo rumore si sveglia. Io sono sempre più stanca.

La vita di prima

Vorrei tornare alla mia vita, al mio lavoro. Ma quasi provo vergogna a pensare queste cose. Dirle ad alta voce non se ne parla. Il timore di essere biasimata è troppo grande. Mi sento continuamente sotto esame, giudicata per una cosa che nessuno mi ha mai insegnato a fare. D’altra parte sono inesperta, è vero. Eppure quando Federico si agita durante il sonno, mi basta poggiare istintivamente la mano sul suo pancino per calmarlo.

Sono ormai le 7 del mattino. Fuori piove e Federico dorme vicino a me ormai da tre ore. Nessun sussulto, nessun lamento, neppure un breve risveglio. Dopo un mese sono riuscita finalmente a chiudere questo pezzo e non riesco a trattenere le lacrime dalla contentezza.

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  • Giulia Cannizzaro |

    Cara Alessia,
    ti ringrazio molto per questo commento. In questi giorni ne sto ricevendo tanti come il tuo. Tutte mi dicono la stessa cosa: anche io l’ho pensato ma non l’ho mai detto. Non ci sentiamo ancora libere di dire quello che pensiamo veramente e che proviamo. La maternità è meravigliosa, certo, ma non sempre e non in ogni momento. Pensare questo non ci rende madri sbagliate, ma esseri umani normali. Purtroppo la società non ci aiuta. L’unica soluzione è mettere da parte ogni paura, parlarne e fare rete. Lo dobbiamo a noi stesse e – come dicevi tu- alle generazioni future.

    Grazie mille
    Un abbraccio
    Giulia

  • Alessia Porro |

    Ciao Giulia,
    sono Alessia una quasi sopravvissuta a 14 mesi di “maternità”. Ogni parola di questo tuo diario la sento mia e non ti nego che mi scendono ancora le lacrime.
    Non ascoltare nessuno, ignora ogni giudizio ogni consiglio e ascolta solo quello che ti dice la tua testa e il tuo cuore. Non avere paura nel pensare alla tua vita di prima, siamo in tante a desiderarla a apprezzarla come mai fatto prima; abbiamo il compito di parlarne e far emergere tutte le difficoltà che ricadono su noi donne con la maternità. E’ giusto diffondere queste notizie e far crollare il mito che la maternità sia una cosa bellissima.
    Dobbiamo dire la verità per far sì che le generazioni future facciano scelte sempre più consapevoli e la maternità è una devastazione.
    Poi piano piano ricostruisci tutto ma ci vuole tempo e i segni rimangono.
    La consapevolezza che ho dopo questi mesi è che se avessi saputo tutto questo (tirilatte, la bimba che non mangia abbastanza, le infinite notti a base di spezzatino di sonno, la baby sitter, il mio corpo cambiato, il demansionamento lavorativo,ecc ) non lo avrei mai fatto. Sia chiaro che ogni giorno quando guardo mia figlia mi scoppia il cuore di gioia non ho mai provato un amore così grande. Il prezzo da pagare è infinito e sono stremata.
    TI abbraccio e ricordati che siamo Donne e in qualche modo una soluzione la troveremo sempre.
    Con affetto e solidarietà.
    Alessia

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