
Nuovi attacchi, negli Stati Uniti, al diritto alla salute – soprattutto delle donne. Prima, con una decisione della Corte suprema di fine giugno sul caso Medina contro Planned parenthood South Atlantic, sono state limitate alcune libertà per quanti usufruiscono delle coperture sanitarie pubbliche del programma federale Medicaid. Poi con i tagli previsti dal disegno di legge conosciuto come “Big beautiful bill“, approvato a inizio luglio.
Nel primo caso, nonostante il tema del contendere sia una quesitone specificamente legale – viene eliminata la possibilità di citare in giudizio gli Stati in tema di scelta del fornitore sanitario -, è apparso chiaro da subito come la sentenza impatti direttamente la qualità dei servizi erogati. In particolare quelli legati alla salute riproduttiva femminile. Influenzando poi, nelle sue implicazioni, l’accesso all’aborto legale e sicuro. Nel secondo, all’interno del pacchetto di riforme, vengono imposte consistenti limitazioni – dirette e indirette – ai destinatari delle coperture di Medicaid, vengono anche bloccati i finanziamenti per le organizzazioni che offrono servizi di interruzione di gravidanza.
Per capire meglio la situazione, è utile vedere cosa è successo, le implicazioni da qui in avanti e cosa significano queste scelte sull’accesso alla cura per gli americani.
La decisione della Corte suprema
Oltreoceano, è noto, l’assistenza sanitaria non è universale. Chi non può permettersi le spesso costosissime assicurazioni private, può ricevere una copertura delle spese sanitarie attraverso i piani federali (Medicaid e Madicare) o l’Affordable care act del 2010 (conosciuto anche come “Obamacare”). A seguito della decisione presa dalla massima Corte qualche giorno fa, i pazienti che beneficiano di queste polizze pubbliche non potranno più intentare azioni legali per far valere il loro diritto di scelta della clinica o organizzazione a cui affidarsi per le cure.
Questa delibera segue direttamente una disposizione del 2018 del governatore repubblicano del South Carolina (all’epoca poi bloccata dalla Corte dello Stato), di escludere le cliniche di Planned Parenthood dalla lista dei fornitori riconosciuti dai piani pubblici. La ragione? Non troppo misteriosamente il fatto che la no-profit fornisce, tra le altre cose, servizi di interruzione di gravidanza. Pratica dal 2022, tra l’altro però, già vietata nello Stato oltre le 6 settimane di gestazione. E che, comunque, a livello nazionale non è quasi mai rimborsata da fondi pubblici*.
Parlando di coperture finanziare, inoltre, dell’ammontare dei contributi stabiliti annualmente per Medicaid, in South Carolina solo 90mila dollari circa vanno all’organizzazione della “genitorialità pianificata”. Una percentuale minima rispetto al totale delle spese dello stato.
Secondo molti, la decisione della Corte suprema, attualmente a maggioranza conservatrice, rappresenta un’ulteriore passaggio nel piano repubblicano di de-finanziare la Planned Parenthood, no-profit spesso al centro di dibattiti accesissimi proprio in tema aborto. Per quanto le cliniche del gruppo sono il maggiore fornitore a livello nazionale di questo tipo di interventi, in realtà il loro contributo è molto più ampio e profondo. In molte comunità, infatti, rappresentano le uniche strutture a offrire assistenza a 360 gradi per la salute riproduttiva; a distribuire contraccettivi ed effettuare test di gravidanza. E a fornire, inoltre, esami e trattamenti per le malattie sessualmente trasmissibili e screening per il cancro.
La maggior parte dei fondi pubblici ricevuti dall’organizzazione, quindi, va a finanziare servizi riproduttivi o di prevenzione. E contribuisce, inoltre, anche a coprire l’attuale carenza di medici di base. Problema che attualmente vive proprio anche il South Carolina. Stando ai dati del report annuale 2022-2023 di Planned parenthood, sul totale delle attività svolte, solo il 4% ha riguardato pratiche legali di aborto.
A ben vedere, insomma, la scelta degli scorsi giorni ha conseguenze ampie per i cittadini americani. Nello specifico colpisce soprattutto le classi meno abbienti. Da una parte, infatti, priva i beneficiari di Medicaid dell’unico modo per far valere un loro diritto espressamente concesso dal Congresso americano. Togliendogli anche la capacità di decidere a chi affidarsi per le proprie cure. Dall’altra, ha implicazioni e conseguenze che si estendono ben oltre i confini di uno Stato. Se oggi infatti già Arkansas, Missouri e Texas hanno impedito a Planned Parethood di ottenere rimborsi da Medicaid per qualsiasi tipo di assistenza sanitaria, a seguito della recente decisione altri stati potrebbe muoversi su questa linea.
Senza contare poi che, dato il suo ruolo nella prevenzione e assistenza contraccettiva, escludere l’organizzazione per la “genitorialità pianificata” dai fondi pubblici e, quindi, limitare i suoi interventi, aumenterebbe il tasso di gravidanze indesiderate, particolarmente elevato negli Stati Uniti. Con tutte le conseguenze a partire da mamme e bambini, legate a una scarsa cura prenatale e all’aumento di pratiche abortive poco sicure e illegali.
Un colpo ulteriore: il “Big beautiful bill”
La decisione della Corte nel caso Medina conto Planned parenthbood, non è stato l’ultimo atto del piano (conservatore) di ridimensionare le libertà di scelta in tema di salute riproduttiva. Un ulteriore colpo per quanti usufruiscono delle coperture pubbliche di assistenza sanitaria, arriva dalla politica. A poche settimane dalla delibera della Corte suprema, il 3 luglio è stato approvato il “Big beautiful bill”. Un pacchetto di tagli alle spese federali che, tra le altre aree di intervento, riguarda direttamente la salute di chi è coperto da piani pubblici. E le organizzazioni come Planned parenthood: si introduce infatti il blocco di un anno ai rimborsi di Medicaid per quelle no-profit che offrono servizi di interruzione di gravidanza.
Questa decisione, potenzialmente, lascerà milioni di statunitensi senza accesso alle cure essenziali dato che i tagli previsti colpiscono direttamente molte cliniche impegnate in servizi di cura e prevenzione riproduttiva o sessuale. Nello specifico, secondo Planned parenthood, l’approvazione del disegno di legge mette a rischio chiusura circa 200 centri in 24 stati. Stati dove, tra l’altro, nel 90% dei casi l’interruzione di gravidanza è ancora legale.
In una nota, la presidentessa e amministratrice delegata dell’organizzazione, Alexis McGill Johnson, ha descritto il progetto appena approvato nel secondo passaggio anche alla Camera, come “illegale” e “un attacco mirato”. Aggiungendo poi: «Tutti meritano l’accesso a un’assistenza sanitaria di qualità e a prezzi accessibili. È per questo che lottiamo da un secolo – non ci fermeremo mai. Faremo causa all’amministrazione Trump per bloccare questo attacco illegale. See you in court. (Ci vediamo in tribunale)».
La posizione sull’aborto: tra pro-choice e pro-life
Lasciando un momento da parte le decisioni dei tribunali e le leggi di spesa, dove si orienta la popolazione statunitense rispetto alle questioni “riproduttive”, tra pro-scela e pro-vita? E quali ritiene siano i confini entro cui permettere un’interruzione di gravidanza?
Secondo una recente indagine Gallup, in tema di aborto negli anni la tendenza complessiva del Paese si è leggermente spostata a sinistra, su posizioni, quindi, più progressiste. Con l’opinione pubblica oggi più favorevole, anche solo rispetto a tre anni fa, a rendere la pratica legale. Nel 2022, con una decisione epocale la Corte suprema americana aveva ribaltato la famosa sentenza Roe contro Wade del 1973 cheaveva reso costituzionale negli Stati Uniti il diritto all’interruzione di gravidanza.
Se però gli orientamenti generali sembrano andare in una simile direzione su scala nazionale, esistono differenze anche marcate considerando le opinioni espresse in base al genere, alle convinzioni politiche e al luogo di residenza. Il gap maggiore tra posizioni sostenute, dai dati Gallup, si registra tra donne e uomini. La forbice qui arriva a toccare un massimo storico: sulle tre domande chiave relative all’interruzione di gravidanza, il divario raggiunge i 20 punti percentuali. Con le americane molto più propense rispetto agli americani (61% rispetto al 41%) a identificarsi come “pro-chioce”, a volere maggior riconoscimento legale per la pratica e a considerarla una scelta moralmente accettabile.

Tutto considerato, comunque, lo studio di Gallup mostra una linea crescente, in tema di supporto alla libertà di scelta. Se, infatti, negli ultimi tempi è aumentata e si è consolidata la quota di quelle che esprimo posizioni a favore della legalità dell’aborto, dall’altra, il supporto da parte degli uomini è, sì, calato. Ma si è spostato solo marginalmente. Inoltre, anche guardando alle posizioni politiche dei rispondenti, a prescindere dal loro genere, il sostegno risulta aumentato.
Tra i democratici, infatti, era il 50% nel 2010 e 69% del 2021. Ma è poi balzato al 81% delle ultime rilevazioni. In misura minore è salito anche tra gli indipendenti, crescendo dal 44% nel 2021 al 51% dal 2022 a oggi. E tra i Repubblicani, per quanto sia leggermente calato, il supporto si attesta in modo abbastanza stabile attorno al 20%. Una quota che a livello nazionale si conferma anche un po’ più alta rispetto al 2022.
In generale, rileva Gallup, il 49% degli americani intervistati è a favore della legalità dell’interruzione di gravidanza della nella maggior parte dei casi. Mentre il 48% la vorrebbe legale solo in alcuni o in nessun caso. Osservando nel dettaglio i casi specifici in cui si supporterebbe questo diritto, il 30% lo approverebbe in qualsiasi circostanza, il 35% in alcune istanze. E solo il 13% vorrebbe che diventasse completamente illegale.
Per dare un metro di paragone, tre anni fa sposavano questa ultima posizione il 20% del campione.
Le differenze tra Stati
Non è solo Gallup a notare il delinearsi di una tendenza unitaria a livello nazionale. Secondo i dati raccolti dal Pew Research Center, infatti, «per quanto abbia subito qualche oscillazione in due decenni di sondaggi, il sostegno pubblico all’aborto legale è rimasto relativamente stabile negli ultimi anni». Stando alle stime del centro di ricerca, il 63% degli americani sostiene che l’interruzione di gravidanza dovrebbe essere legale in tutti o nella maggior parte dei casi. Conto il 36% che invece ritiene che dovrebbe essere illegale in tutti o nella maggioranza dei casi.

Nel suo studio, il Pew Research Center nota la presenza di una varietà di posizioni a livello statale, seppure le tendenze generali si mostrano, comunque, orientate a una maggiore libertà di scelta. In 34 stati e nel distretto della Columbia, per esempio, è più alto il numero di cittadini che sostengono la legalità dell’aborto rispetto a quanti hanno pareri opposti. I picchi massimi si registrano nella capitale, dove l’81% degli adulti appoggia la legalità della scelta in tutti o nella maggior parte dei casi. E negli stati del New England, tra cui Vermont, Massachusetts, Rhode Island, New Hampshire e Connecticut, dove almeno il 75% degli adulti sposa questa opinione.
Di contro, l’unico stato in cui la posizione prevalente è contraria – dove, quindi, la maggior parte dei cittadini ritiene che la pratica debba essere illegale nella maggior parte dei casi – è l’Arkansas. Qui sono 57% quelli che hanno questo punto di vista.
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* In generale, i fondi statati o federali rimborsano le interruzioni di gravidanza solo in certi stati. E limitatamente a casi di violenza sessuale, incesto o in situazioni di pericolo di vita.
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