L’albero delle noci di Brunori canta una paternità che si interroga

Foto di Luca Marenda

È passato poco più di un mese dal Festival di Sanremo, che ha fatto conoscere al grande pubblico la musica, il cuore e i racconti intimi di una vita di provincia di Dario Brunori, e il successo – per molti inatteso – del suo brano apre a una serie di riflessioni che vanno oltre “l’effetto onda” del Festival. A partire da cosa vuol dire essere genitore, nella società attuale, condividendo gioie, incertezze e preoccupazioni, come Brunori fa da vent’anni con il “suo popolo”, fino a interrogarsi sul futuro, trovando nella condivisione la speranza che serve.

Foto di Luca Marenda

L’amore genitoriale raccontato da Brunori

Se la scintilla della canzone sanremese L’albero delle noci è stata la nascita della figlia Fiammetta, l’omonimo album racconta l’amore genitoriale da più punti di vista; quello di una madre per i figli che se ne vanno (Luna nera), di un padre che lo sta per diventare (Guardia giurata) e quello familiare (Pomeriggi catastrofici), quest’ultimo un racconto ironico che ne fotografa con tenerezza pro e “contro”: «Se stai con la famiglia, niente ti può accader. Se stai sempre in famiglia, niente mai ti accadrà». Un invito a uscire dalle proprie zone di comfort e spiccare il volo, con la consapevolezza di poter contare sempre su radici solide.

Da neo papà Dario Brunori – incontrando i giornalisti al termine del concerto del 14 marzo a Vigevano – sottolinea come questo per lui sia un periodo particolare, dove le domande sul suo essere “babbo” (come lo chiama la piccola Fiammetta) sono diverse. Perché se il legame tra una madre e i propri figli ha una genesi in un certo senso universale, quello tra padre e figli è in continua costruzione: «Le misure si prendono col tempo. All’inizio c’è sempre un senso di inadeguatezza che però poi si trasforma in una sorta di consapevolezza. In questo momento sto lottando molto di più, cercando di capire come esporre la mia famiglia in pubblico. Per quanto per me sia un fatto molto spontaneo e di amore reale, un pochino mi preoccupa l’influenza che questa cosa può avere su Fiammetta. Vivo una fase della vita in cui ora l’evoluzione è cautelarla ma senza farne un dramma. Sono un padre che si interroga e interagisce anche con altri papà che hanno una certa visibilità. Ma come mi capita di dire quando divento saggio e illuminato (sorride, ndr), non mi devo preoccupare del futuro ma occuparmi del futuro.»

“L’altra metà della noce”, invece, è una panoramica sulle diverse sfumature dell’amore: quello che arriva al capolinea e che non trova la forza di rompersi e dirsi addio (Per non perdere noi), quello che non torna, e se e quando ritorna ci trova diversi o non ci trova più (La vita com’è), quello a cui si rimane attaccati anche dopo una rottura e che vorremmo assaggiare ancora incuranti del dolore (Il morso di Tyson) e quello di uomo che non si rassegna alla perdita della compagna di una vita (Fin’ara luna, fino alla luna) una poesia in dialetto calabrese che mostra come, per un uomo, abbandonarsi alle lacrime non sia una sconfitta ma una necessità per elaborare il dolore.

E non manca nemmeno l’accento sui temi legati alle donne e alla diversità con La ghigliottina (secondo estratto del nuovo album), che mette in luce le crepe sempre più evidenti di una società ipocrita e piena di contraddizioni che fa dell’infinito “scrolling” che domina i social il suo credo: «Che la donna adesso è più donna, non è più la donna di chicchessia. E anche dire che lei è la tua donna non va mica bene, mica è roba tua. Ti vedo un po’ stanco maschio etero bianco, fra ricatti morali, colpe ancestrali, monete di scambio. Tu vorresti tornare di nuovo ai bei tempi di mamma e papà, perché ti sembra normale che non sia normale la diversità».

L’urgenza di una scrittura più netta e dritta

Se da un lato Dario Brunori si interroga come padre, dall’altro lo fa anche come cantautore. E non da adesso. Sono passati quasi dieci anni da A casa tutto bene, l’album (il quarto) che ha segnato il suo primo exploit a livello nazionale con brani come L’uomo nero, Colpo di pistola, Secondo me e Lamezia Milano, che descrivevano un periodo storico in cui cominciavano a farsi più frequenti epidosi di razzismo («Hai notato che gli argomenti sono sempre più o meno quelli: rubano, sporcano, puzzano; e allora olio di ricino e manganelli»), femminicidio («Ma io non la tenevo prigioniera, la incatenavo solo verso sera per stare un po’ con lei, per stare stretto a lei»), fatica nell’empatizzare con gli altri («Descrivo il mondo solo secondo me. Chissà com’è, invece, il mondo visto da te») e indifferenza verso tutto ciò che non ci riguardava («Con il terrore di una Guerra Santa, io me ne vado in settimana bianca»).

A distanza di poco tempo da allora, ci ritroviamo catapultati in un contesto quotidiano che è totalmente cambiato. In peggio, come racconta proprio Brunori: «In quel periodo la cosa che sorprendeva me e coloro con cui mi confrontavo era la facilità di alcuni di scrivere commenti terribili sui social. All’inizio c’era lo sdegno ma poi c’è stato uno sconfinare che ha spostato l’asticella sempre un po’ più in là. Adesso questo modo di fare è stato sdoganato ed è entrato nel mondo reale. Secondo me è un momento difficile anche per chi scrive. C’è un bellissimo carteggio tra Pasolini e Moravia che discutono del ruolo dell’autore nei momenti di emergenza, sottolineando come il libro può avere una funzione e la scrittura creativa un’altra. Ma in momenti di urgenza o grande urgenza, servono comizi e addirittura barricate. Io credo che in un momento storico come quello attuale la scrittura non possa rimanere confinata solo alla creatività ma debba essere molto più netta e dritta e cominciare a dire delle cose vere. Sono contento di averlo fatto anche in passato e di poterlo proporre di fronte a migliaia di persone».

Foto di Luca Marenda

L’albero delle noci, simbolo di una comunità

Non ha mai dispensato sorrisi di circostanza, né nei suoi concerti né sul palco dell’Ariston dove ha cantato L’albero delle noci e la gioia della paternità, un brano che gli ha consegnato il Premio Sergio Bardotti per il miglior testo e un terzo posto che vale più di una vittoria. Nei cinque giorni di kermesse sanremese Brunori è riuscito a creare lo stesso legame speciale che ha con chi lo ascolta e lo segue dal 2009, mostrando la sua umanità con la leggerezza di chi non fa programmi e sa prendersi anche un po’ in giro: «Ho voluto partecipare a Sanremo perchè sentivo che potevo occupare uno spazio, ma un’esperienza così devi viverla con leggerezza. Le cose per me hanno preso una direzione inaspettata e tutto quello che è arrivato è stato una sorpresa. L’ho vissuta bene, specie l’ultima sera durante la proclamazione del podio dove mi sembrava di vivere una sorta di The Truman Show. Mi sono divertito tanto anche nel fare tutte le attività collaterali al Festival, che erano le cose che un po’ mi spaventavano. Evidentemente mi sto alleggerendo un po’.»

L’albero delle noci è anche il titolo dell’ultimo album della Brunori Sas, sesto lavoro della band calabrese oggi è in top 10 tra i più ascoltati al mondo su Spotify. Un albero che esiste davvero e che ha più di cento anni. Si trova nel borgo di San Fili, tra i più caratteristici della provincia di Cosenza e focolare domestico del cantautore originario di Joggi. Piantato agli inizi del ‘900, è diventato un simbolo identitario della comunità sanfilese che ogni anno, in autunno, si riunisce per la raccolta delle noci dando continuità ad una tradizione che si tramanda da generazioni.

La musica al centro

Venerdì 14 marzo, da Vigevano (Pavia), è partito il tour di 8 tappe che porterà la Brunori Sas in diverse città italiane e si concluderà con il doppio appuntamento al Forum di Assago (Milano) del 30 e 31 marzo. Ad affiancare Dario Brunori in questa prima parte di tour prima degli appuntamenti estivi (al via il 18 giugno prossimo con il live con orchestra al Circo Massimo di Roma), c’è la sua seconda famiglia, ovvero i componenti storici della band: Simona Marrazzo (voce, solina, percussioni), Dario Della Rossa (pianoforte, piano elettrico, sintetizzatori), Mirko Onofrio (sax alto, flauti traversi, clarinetto basso, vibrafono, synth, cori), Lucia Sagretti (violino, viella, voce, theremin), Massimo Palermo (batteria e percussioni) e Stefano Amato (basso elettrico, violoncello e mandola contralto); ai quali si sono aggiunti anche Luigi Paese (tromba e flicorno soprano) e Gianluca Bennardo (trombone e flicorno baritono), che sotto la direzione musicale di Riccardo Sinigallia propongono una scaletta di 23 brani che abbraccia tutto il repertorio cantautorale brunoriano, riarrangiato per far vivere un viaggio musicale intimo ed emozionante all’insegna della musica in purezza, senza nessun effetto speciale.

Anche la scenografia è stata studiata per creare quell’intimità col pubblico che da sempre caratterizza Dario Brunori e che, in fondo, è la sola ragione che spiega un rapporto di affetto così puro e duraturo nel tempo. A partire dal palco, una grande pedana a quattro livelli con struttura semicircolare di legno scuro ispirata alla forma di una noce, che con un allestimento quasi teatrale crea una sorta di carillon dove le luci amplificano l’alchimia tra tutti gli strumenti musicali.

Lo spiega proprio Brunori: «Questi concerti mettono al centro l’aspetto musicale. Non che prima non lo fosse, ma vogliamo che ogni data sia unica rendendola ancora più live del solito. Chiaramente è un’ambizione ma per me è molto importante, perché credo sia giusto che chi viene a vederti possa assistere a uno spettacolo dove c’è della vitalità. Personalmente mi sono emozionato nel cantare alcuni brani, cosa non scontata in una prima data, perchè in queste occasioni si tende sempre a focalizzarsi sul fatto che tutto fili liscio. Volevo che ci fossero diversi momenti, da quelli più concitati a quelli più intensi, e mi fa sempre tanto piacere qundo riusciamo a creare una certa intimità anche in un contesto come un palazzetto.»

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