Lucio Corsi canta un nuovo modello di mascolinità contro gli stereotipi

ANSA/ETTORE FERRARI

«La sincerità è qualcosa verso cui bisogna tendere»: Lucio Corsi, 32 anni, è al suo primo festival di Sanremo e con la canzone “Volevo essere un duro” mette a nudo i modelli performativi in cui la sua generazione ha perso respiro. Corsi lo restituisce rivendicando la libertà di accettarsi, così come si è. «È una canzone sull’accettazione – spiega il cantautore in sala stampa – Ma a me piace che ognuno trovi la sua storia nelle canzoni. È una delle cose più belle della musica: ognuno ci trova la sua storia».

«Non sono nato con la faccia da duro/Ho anche paura del buio/Se faccio a botte le prendo»: con disarmante semplicità, Corsi riesce a centrare gli stereotipi che ingabbiano il maschile senza nominarli. E, così facendo, dall’Ariston propone un modello di mascolinità nuova: nessun machismo, nessun tentativo di auto-affermarsi, nessun concetto muscolare che occupa lo spazio. Le parole di Corsi sono “muscolari” nella loro leggerezza, forti del loro significato: «Io volevo essere un duro/Però non sono nessuno/Non sono altro che Lucio».

Adolescenti, i più ingabbiati dagli stereotipi di genere

Nella storia che Corsi porta all’Ariston ce ne sono tante altre: «Volevo essere un duro», ad esempio, lo hanno pensato almeno una volta nella vita il 70% degli adolescenti per cui le ragazze «sono più predisposte a piangere dei maschi», «maggiormente in grado di esprimere le proprie emozioni» (lo pensa il 64%) e a «prendersi cura delle persone» (lo sostiene il 50%). Una fotografia scattata dall’indagine “Le ragazze stanno bene” di Save the Children, realizzata su un campione di 800 giovani di età compresa tra 14 e 18. Il rapporto evidenza come, tra il 2018 e il 2023, siano diminuiti sensibilmente gli stereotipi di genere presenti nelle ragazze. Ma questo non sta accadendo invece per i ragazzi.

Gli stereotipi non rappresentano solo un modello, ma anche una “gabbia di aspettative”. Le rappresentazioni del maschile proposte online, nei media e nella musica aderiscono con estrema difficoltà alla quotidianità dei ragazzi, generando un costante sforzo di ricerca di conformità a un modello ideale inarrivabile. Il meccanismo stereotipico riguarda tutte le sfere della vita, in continua evoluzione per gli adolescenti: dalle aspettative sui corpi considerati “virili”, alle professioni e ai comportamenti ritenuti “maschili”.

Questa perenne tendenza verso il “modello maschile ideale” determina e regola anche il sistema delle relazioni, in cui possesso e gelosia (il 30% degli adolescenti la considera un segno d’amore) nascondono varie forme di violenza:  il 21% del campione intervistato da Save the Children, ad esempio, ritiene normale condividere la password dei social e del cellulare. Rinunciare alla propria privacy continua a essere una condotta accettata e considerata una prova del sentimento.

Un nuovo modello del “maschile”

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«Nel tempo libero mi piace stare a casa, in Maremma soprattutto. Suono, mi piace stare al pianoforte. Pensare alle parole sopra la musica: è un rebus perché l’italiano ci consente di dire le cose in mille modi diversi. È la cosa che mi piace di più fare». Corsi, con la chitarra tra le mani in sala stampa, racconta quello che ama fare nel suo tempo libero e, senza sforzo, il modello di continua esibizione di virilità si dimostra immediatamente obsoleto, inefficace, oppressivo.

È ciò che invece ha proposto nel tempo soprattutto il rap, richiedendo agli artisti un “machismo performativo”: i rapper assumono una postura stereotipata di maschio violento, cinico e insensibile. Ma, l’adesione a questo modello, ha le sue complessità: come sottolinea l’esperto di rap e cultura black Gabriel Seroussi in un approfondimento sul tema, lo stereotipo del rapper “maschio e cinico” ha ottenuto successo soprattutto nel pubblico bianco generalista e ha origine nella cosiddetta “cool pose”. Ovvero quell’atteggiamento duro e impavido adottato da una parte di uomini neri come meccanismo di difesa per affrontare l’oppressione razziale negli Stati Uniti.

L’adesione globale degli uomini a questo atteggiamento iper-mascolino – e il fatto che il rap abbia dato modo a molti giovani uomini di parlare della ricerca di una identità maschile – si fa interprete di un estremo bisogno di modelli maschili in cui identificarsi. Possibilmente lontani dalla “bro culture” che opprime gli uomini nel vano tentativo di rassicurarli.

«Il potere delle canzoni è suscitare emozioni, farti rilassare, togliere i pensieri. Ma anche farti venire altri pensieri: c’è anche questa possibilità quando sei davanti al foglio bianco» suggerisce Corsi, indicando la rotta verso il continuo ripensamento dei modelli di genere a cui non è necessario aderire.

Senza timore di essere fragili: da Corsi a Cristicchi e Brunori

Nel 2022, a vincere la 72esima edizione del Festival di Sanremo sulle note di Brividi, Mahmood e Blanco: due uomini che sul palco dell’Ariston hanno parlato di amore guardandosi negli occhi, non avendo paura di toccarsi e mettendo a nudo paure e fragilità. Tre anni dopo nuovi modelli e sfumature del maschile tornano a Sanremo. Lucio Corsi, nella serata dedicate alle cover, duetterà con Topo Gigio senza indugiare sul timore di apparire infantile o “non duro abbastanza”: «La musica per me era fuggire dalla realtà. Quando ascolto le canzoni cerco di fuggire dal mondo che mi circonda e farmi trasportare in altri tempi e in altri panni – spiega il cantante – Topo Gigio come personaggio surreale e di fantasia è uno degli esempi più belli e duraturi. E al tempo stesso è anche più reale di tante persone che conosco».

Simone Cristicchi, con la sua “Quando sarai piccola”, canta i genitori che diventano figli mettendo a nudo tutta la sua emotività: «In questa canzone ho voluto evitare la retorica perché se l’avessi percepita non l’avrei nemmeno presentata a Sanremo – ha spiegato il cantautore – Ci siamo commossi tutti perché si tratta di storie vere, è vita autentica, si toccano delle corde emotive in questo mondo in cui c’è una grande compressione emotiva, non riusciamo più a trasmettere molto».

Anche Brunori Sas in “L’albero delle noci” tocca delle corde emotive poco esplorate come l’inadeguatezza che si può sperimentare davanti alla paternità. «Ho cercato con coraggio di cantare la gioia, ma anche l’inquietudine che una nuova nascita porta con sé – sottolinea il cantante – L’amore che non chiede niente in cambio, la felicità assurda e a tratti incontenibile, ma anche la paura di poterla perdere ‘sta felicità, il rimpianto per la vita di prima, il tempo che non torna». Le emozioni non sono “solo canzonette”, né per le donne. Né, finalmente, per gli uomini.

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