Non è appariscente come un livido e non fa rumore come gli insulti urlati in faccia ma i danni che provoca in chi la subisce sono altrettanto pesanti e spesso è lei ad aprire la strada ad altre forme di abuso. Quella economica, anche se meno nota, è a tutti gli effetti una forma di violenza di genere, come ha sancito la Convenzione di Istanbul, affiancandola a quella fisica, sessuale e psicologica. Ma di cosa parliamo quando diciamo che una donna subisce violenza economica?
Definirla per conoscerla
L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) la definisce come “qualsiasi atto o comportamento che provochi un danno economico a un individuo. La violenza economica può assumere la forma, ad esempio, di danni alla proprietà, limitazione dell’accesso alle risorse finanziarie, all’istruzione o al mercato del lavoro, o mancato rispetto di responsabilità economiche, come gli alimenti”. Si tratta quindi di una forma di abuso in cui chi esercita violenza lo fa controllando o sottraendo le risorse economiche di chi subisce l’abuso. Una situazione che fino a pochi decenni fa era considerata quasi la norma anche nella nostra società visto che gli unici percettori di reddito e quindi detentori del potere economico erano gli uomini.
Fattori di rischio e cause scatenanti
La violenza economica si annida quindi nelle pieghe delle relazioni e si nutre di stereotipi e di abitudini sbagliate: demandare al partner la gestione economica, non occuparsi degli aspetti finanziari, non avere una propria indipendenza economica. Una situazione che come spiega la notaia Alessandra Bortesi, consigliera del Consiglio notarile di Milano, «può persino essere scambiata per protezione ma è una forma di controllo. Molte donne si prestano, infatti, a questa dinamica sbagliata perché all’inizio può far comodo che una persona si occupi degli aspetti economici al posto tuo». Demandare al partner tutti gli aspetti della famiglia o della coppia che hanno a che fare con il denaro non è ovviamente una condizione sufficiente perché si instauri una situazione di violenza. E tuttavia rappresenta sicuramente un fattore di rischio come lo è anche la dipendenza finanziaria: «non avere accesso a risorse economiche proprie – spiega Bortesi – espone la donna a dover chiedere denaro al partner o a giustificare tutte le sue spese».
Se allarghiamo lo sguardo, a mettere le donne in una situazione di subalternità economica e quindi in una dimensione di rischio è, più in generale, la disuguaglianza di genere, in tutte le sue declinazioni: dal gender pay gap alla bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro. Un’indagine Ocse di qualche anno fa ha anche messo in relazione il maggiore carico di cura familiare con l’aumentata possibilità (circa il 25% in più) di essere vittima di violenza economica, visto che prendersi cura della casa e della famiglia si traduce spesso in un allontanamento o almeno in una riduzione del tempo dedicato al lavoro retribuito. Infine, a mettere a rischio le donne, è come abbiamo visto la minore, o presunta tale, capacità nella gestione del risparmio e delle finanze personali.
Un po’ di dati: quante sono le vittime?
Non si conosce il numero preciso delle donne che subiscono questo genere di abuso e tuttavia chi lavora nei centri antiviolenza racconta che sono molte le donne che si rivolgono a loro con una storia di violenza economica. «Dall’ultima rilevazione che abbiamo effettuato come Rete nazionale dei Centri antiviolenza, la violenza economica incide per oltre il 35% delle oltre 20mila donne che vengono incontrate e accolte, in media ogni anno, dalle 107 organizzazioni di donne che gestiscono i centri antiviolenza», ha dichiarato di recente Antonella Veltri, presidente dell’associazione Donne in rete contro la violenza (D.i.Re). L’associazione ha denunciato anche come quasi una donna su tre, tra quelle venute in contatto con loro, non ha soldi propri, e solo il 36,7% può contare su un reddito sicuro. Il restante 33,3% ha lavori precari e saltuari.
Secondo i dati raccolti invece dalle chiamate al 1522 – il numero di pubblica utilità contro la violenza – sarebbero oltre la metà le donne che non lavorano tra quelle che chiedono aiuto e circa il 60% quelle senza autonomia economica.
Lo scorso anno un’indagine condotta da WeWorld aveva svelato che il 49% delle donne intervistate dichiara di aver subito violenza economica almeno una volta nella vita. Dato che saliva al 67% tra le donne separate o divorziate.
Antidoti: leggi ed educazione
La violenza economica in Italia non è un reato a sé stante ma viene citata in alcuni articoli del codice civile che riguardano gli abusi familiari. Secondo la notaia Bortesi avere però una legge ad hoc aiuterebbe i giudici a perseguire questa forma di abuso. «Per impedire taluni abusi – chiarisce la notaia – le norme ci sono come l’istituto giuridico chiamato ‘impresa di famiglia’ che riconosce ai familiari il diritto di partecipare agli utili. Penso alla situazione in cui la moglie lavora nell’azienda del marito ma non percepisce un vero stipendio. Se invece guardiamo più in generale alla violenza economica sicuramente sarebbe il caso di avere una norma più specifica così da fornire al giudice uno strumento più sicuro per punire questo tipo di abusi».
Oltre a leggi ad hoc un altro antidoto è rappresentato dall’educazione e dall’alfabetizzazione finanziaria visto che la loro mancanza espone, come abbiamo visto, le donne al rischio di subire controllo economico senza rendersene pienamente conto. «Le donne – afferma la notaia – hanno bisogno di alfabetizzazione economico-giuridica per capire quali sono i loro diritti e quali le conseguenze di determinati comportamenti. Sarebbe importante che già nelle scuole si iniziasse a parlare di alcuni concetti generali così da far accendere la lampadina quando ci si trova di fronte a una situazione rischiosa».
Spesso infatti le donne non si rendono nemmeno conto di essere di fronte a una situazione potenzialmente rischiosa, con il risultato, come rivela Bortesi, che «tantissime arrivano da noi quando il danno è già stato fatto. Sono davvero poche quelle che ci chiedono una consulenza per proteggersi dal rischio».
Una guida per orientarsi
Proprio per aiutare le donne a conoscere meglio i principali istituti giuridici e trasmettere l’idea che la finanza riguarda la vita di tutti i giorni, il notariato ha creato, qualche anno fa, una guida dal titolo “Conoscere per proteggersi”. Il volumetto che si può scaricare gratuitamente dal sito del notariato, è una guida per orientarsi e prendere decisioni consapevoli in tantissimi ambiti della vita quotidiana.
«Penso per esempio – afferma Bortesi – alla scelta del regime patrimoniale quando ci si sposa, o ancora, se pensiamo al mondo del lavoro, a quale forma societaria scegliere. Altri argomenti che le donne dovrebbero conoscere per tutelarsi sono la procura generale e la fideiussione. Spesso infatti le donne le sottoscrivono senza aver ben chiaro che cosa comportano dal punto di vista economico».
Punta a prevenire e contrastare la violenza economica di genere anche un’iniziativa promossa in occasione del 25 novembre dall’Associazione bancaria italiana (Abi) e dalla Fondazione per l’educazione finanziaria e al risparmio (Feduf) con il dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del consiglio dei ministri. “Parole di inclusione – Contro la violenza economica, tu non sei sola” è il titolo di un podcast in 8 episodi che con un linguaggio semplice e immediato presenta i principali aspetti che riguardano la violenza economica e le azioni da mettere in atto per favorire autonomia nelle scelte finanziarie e nella gestione delle proprie risorse.
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Se stai subendo stalking, violenza verbale o psicologica, violenza fisica puoi chiamare per avere aiuto o anche solo per chiedere un consiglio il 1522 (il numero è gratuito anche dai cellulari). Se preferisci, puoi chattare con le operatrici direttamente da qui.
Puoi rivolgerti a uno dei numerosi centri antiviolenza sul territorio nazionale, dove potrai trovare ascolto, consigli pratici e una rete di supporto concreto. La lista dei centri aderenti alla rete D.i.Re è qui.
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