Giulia Ghiretti e Giorgio Malan, campioni olimpici oltre le medaglie

Giulia Ghiretti, parmense classe ’94, medaglia d’oro nei 100 metri rana SB4 alla Paralimpiade di Parigi 2024. Giorgio Malan, torinese classe 2000, medaglia di bronzo nel pentathlon moderno all’Olimpiade di Parigi 2024. Due storie molto diverse, così come i caratteri. Uno più vulcanico, l’altro più schivo. Ma ad accomunare entrambi gli atleti è la passione viscerale per lo sport e per quello che rappresenta nelle loro vite: diventare la versione migliore di se stessi, giorno dopo giorno.

Essere consapevoli per costruire; il ritratto di Giulia Ghiretti

La storia di Giulia Ghiretti è piena d’amore e gratitudine: per la vita, lo sport e la musica. Dove non c’è mai stato tempo per piangersi addosso perché, come ci ha raccontato in questa intervista, «il tempo che si perde è tempo che si sottrae a costruire». E di cose da costruire ce ne sono state tante in questi ultimi 12 anni di gare internazionali: più di 20 medaglie tra Mondiali ed Europei, oltre 50 titoli italiani e 3 Paralimpiadi con 1 bronzo, 2 argenti e 1 oro, quello di Parigi, vissuto coi colori della Polizia grazie alla legge voluta dal presidente del Comitato italiano paralimpico Luca Pancalli, che equipara a livello economico atleti normodotati e con disabilità.

Il percorso sportivo di Ghiretti «è tanto ma è ancora poco», come sottolinea lei stessa, anche se riconosce di essere cresciuta soprattutto in consapevolezza: «Mi sembra di aver iniziato due anni fa e invece ne sono passati più di dieci. Sono cresciuta non solo nei risultati ma anche a livello emotivo. A Rio ero imbambolata. Era la mia prima esperienza di questo livello dopo aver vissuto un Mondiale e un Europeo. Finché non la si vive, non si riesce a capire cosa possa essere una Paralimpiade. Ricordo ancora la sensazione che provavo da spettatrice delle Olimpiadi nelle settimane precedenti, e mi sembrava strano che da lì a poco quelle stesse emozioni le avrei vissute anche io. Tra i ricordi più belli della mia prima Paralimpiade ci sono la Cerimonia di Apertura, da brividi, e l’adrenalina della mia prima gara. Dopo c’è stata Tokyo, un po’ povera a livello emotivo. Vivevamo sempre l’attesa di entrare nello stadio ma gareggiare senza pubblico è diverso. E poi è arrivata Parigi. Spettacolare. La cosa più bella è stata avere il pubblico a bordo vasca. Ai Mondiali ed Europei di base non ce n’é tanto, quindi le Paralimpiadi sono l’evento per eccellenza anche in questo senso. Ed emotivamente è una bomba».

Quando ti cambia la vita

La “filosofia del costruire” è una dote innata della Ghiretti che si manifesta prepotentemente per la prima volta nel 2010 all’età di 16 anni, durante un allenamento con la Nazionale di trampolino elastico. Bastano un salto, l’ultimo della giornata, e una caduta sbagliata a metterla davanti a un mondo nuovo, quello della disabilità. Un passaggio che per molti sarebbe stato scioccante ma che per lei si rivela normale, né più né meno di uno dei tanti ostacoli che possono capitare nella vita.

«È stato spontaneo: la reazione all’incidente, la scelta del nuoto, il mio approccio alle cose da quel momento in poi; rientra nel mio carattere. Forse molto del merito è di quello che vivo in famiglia, che mi ha reso la persona che sono. Nessuno mi ha mai detto che era finita o che non potevo più fare niente, perché c’è sempre un modo per fare le cose, diverso certo, ma comunque possibile. Quando mi sono fatta male mi interessava solo tornare a saltare (nemmeno a camminare, sorride) e non perdere l’anno scolastico. Mia madre mi disse che non avrei né saltato né camminato, e che l’anno scolastico non l’avrei perso. Non so se è stato un momento di freddezza o altro, so che ho realizzato subito che quella caduta mi avrebbe cambiato la vita perché non sentivo più le gambe. Non ci si poteva fare niente, potevo solo andare avanti. Se da un lato è stata una sfortuna perché magari alcune cose non le ho potute fare, dall’altro avevo 16 anni e tutto da costruire rispetto a chi deve affrontare lo stesso tipo di incidente in età adulta e gli crolla il mondo addosso.»

Per Giulia Ghiretti la disabilità non è mai stata un limite ma un’opportunità, «un incontro con una parte di te che non conosci ma che può aprirti porte inaspettate» e insegnarti a trovare sempre una possibilità dove gli altri non la vedono. Proprio come un quadrifoglio in mezzo a tanti trifogli: «Senza la mia disabilità non avrei mai fatto tre Paralimpiadi e non sarei mai andata a Roma per presentare Parma Capitale della cultura. Chi ero io per poter parlare della mia città? Ecco, quello per me è stato un riconoscimento che è andato oltre le medaglie e mi ha onorata come persona; ed è la cosa più bella che ci sia. Perché non è la medaglia o la non medaglia che fa la persona.»

Le opportunità hanno tanti aspetti. Tra queste, la più importante è quella di aver “costruito” un legame fortissimo con la sua famiglia: «Il mio incidente ha cambiato tutti gli equilibri, perché una cosa come quella che è successa non cambia solo il diretto interessato ma anche chi gli sta intorno. All’epoca mia sorella aveva 14 anni e mio fratello 10. Non è stato facile, ma la cosa bella è che ci siamo uniti ancora di più crescendo velocemente, perché le priorità cambiano e si danno pesi diversi alle cose. Mia sorella, per esempio, ha scelto il percorso universitario anche in base a quello che stavamo vivendo in famiglia, studiando prima Economia digitale e poi Management e comunicazione d’impresa, perché all’epoca non c’era una società a Parma che mi prendesse in squadra. Così abbiamo fatto una società con mamma e papà che hanno investito economicamente e mia sorella ha seguito un po’ tutto, prima con i miei e poi da sola.»

Oltre la zona di comfort

Per una ragazza innamorata dello sport, fatica è una parola ricorrente. Ma nella sua accezione più positiva, proprio come opportunità di uscire da una zona di comfort e provare ad andare più in là. La scelta del nuoto, per esempio, è nata proprio da questo concetto: «Volevo continuare a fare sport e ne volevo uno in cui potessi sentire il mio corpo in tutto e per tutto. Ogni movimento doveva dipendere da me e in acqua mi sono sentita rinascere.»

E nel conto delle fatiche, a quelle sportive si sono aggiunte quelle del cuore, che la Ghiretti non ha mai evitato. Perché “era importante non perdere il contatto con la realtà”, racconta: «Mi sono fatta male in seconda superiore, a Natale. La sera dell’incidente ero sotto i ferri, dal giorno successivo pensavo già a quando sarei uscita. Il periodo in ospedale non l’ho vissuto male, anzi, ero in un centro di riabilitazione che per me è stata una seconda famiglia. Avevo le giornate scandite dallo studio, grazie alla Dad, e dalla fisioterapia, il mio sport per quel lungo periodo. Imparavo esercizi su esercizi per ritrovare presto la mia autonomia e tornare alla mia vita. Ricordo che nella fase riabilitativa c’è stato un momento in cui potevo trascorrere un weekend a casa, ma mia madre scelse per me e mi mandò a scuola. Io non ero d’accordo e feci una enorme fatica ad accettare la sua scelta, ma oggi la ringrazio. In ospedale ero comoda: i tavoli senza le sedie, tutto alla mia altezza, nessun gradino. Il mondo reale invece ti aspetta fuori. Ed è lì che devi vivere.»

Ma andare oltre la propria zona di comfort riguarda anche l’aspetto emotivo, essendo pronti ad accettare il rischio che la paraplegia possa rivelare la vera natura delle persone: «Il mio rientro sui banchi di scuola a settembre fu orribile, perché gli amici che ho ritrovato non erano più quelli che avevo lasciato. C’è stato anche chi ha cambiato scuola perché non sopportava il clamore che si era creato intorno a me. Sono stati episodi che mi hanno fatto talmente male a tal punto da cancellarli completamente dalla memoria. Ora, pur volendo provare a ricordare, non me li ricordo proprio. Credo che la disabilità vada vissuta insieme, ed è questo l’insegnamento che io trovo bello da trasmettere. Nessuno ti insegna come comportarti, né da un lato né dall’altro. Devi viverla e crescerci insieme.»

Sono sempre io

Tra studio, allenamenti e gare, Giulia Ghiretti ha trovato anche il tempo di pubblicare un libro per raccontare la sua esperienza: “Sono sempre io. L’incidente, il nuoto, la mia rivincita”, scritto con Andrea Del Bue. Un titolo che in precedenza prevedeva la parola “rinascita”, e che è stato volutamente modificato in “rivincita”: «Io non sono rinata e non mi ci sento. La vita è una sola, non c’è un prima e un dopo. Certo, quello che è successo è stato importante, ma fa parte della mia vita. Giulia è sempre una, forse diversa fisicamente ma per il resto no. La parola rivincita per me non ha un senso di rivalsa su qualcosa o qualcuno, ma è semplicemente legata all’idea di vincere più volte.»

Nel futuro della nuotatrice parmense, che di recente ha ricevuto il Sigillo della Città, c’è ancora tanto nuoto (il prossimo obiettivo saranno i Mondiali di Singapore nel 2025), la laurea magistrale in Ingegneria biomedica e il lavoro: «Voglio rimanere nel mondo del sport, continuare a studiare e progettare protesi.» Un percorso chiaro, come a dire: “Sì, sono sempre io”.

Aplomb e ricerca dell’eccellenza, il ritratto di Giorgio Malan

Si ispira a Sinner e Paltrinieri e ha un aplomb da campione d’altri tempi, uno di quelli “predestinati” ad ispirare giovani generazioni di sportivi. Con il bronzo nel pentathlon moderno conquistato alle Olimpiadi Parigi 2024, il 24enne torinese Giorgio Malan ha riacceso i fari sull’Italia dopo 36 anni dall’ultima medaglia olimpica, l’argento di Carlo Masullo a Seul 1988.

Il pentathlon è una disciplina introdotta dal barone Pierre de Coubertin (fondatore dei moderni Giochi Olimpici) tra l’Ottocento e il Novecento, per saggiare le abilità del soldato ideale dell’epoca che doveva saper cavalcare un cavallo non suo, combattere con pistola e spada, nuotare e correre. Di ispirazione militare, per quasi un secolo dalla prima apparizione olimpica (1912) è stato uno sport prettamente maschile. Solo da Sydney 2000, infatti, è stata istituita anche la gara femminile, segnando di fatto un cambiamento non da poco.

Un segno del destino

I numeri del pentathlon non sono altissimi. Alle ultime Olimpiadi, per esempio, c’erano solo 72 atleti in gara (fonte: Statista 2024) mentre in Italia, le società affiliate alla FIPM (Federazione Italiana Pentathlon Moderno) sono appena 61. Per questo, quando un allenatore lungimirante si trova davanti a un bambino a cui piace fare più sport, il pensiero del pentathlon moderno non può non accarezzargli la mente. Ed è quello che è successo con Malan: «Da piccolo mi piaceva praticare diversi sport, ero in una condizione in cui volevo provare un po’ tutto. Durante la scuola nuoto, il mio allenatore – che è lo stesso che mi ha portato alle Olimpiadi – mi propose il pentathlon. Da bambini si comincia solo con corsa e nuoto, e ogni due anni, col salto di categoria, si aggiunge uno sport. Per me quella dimensione era bellissima perché ogni volta avevo stimoli nuovi. È cominciato tutto così, grazie alla curiosità e al divertimento che mi dava passare da uno sport all’altro.»

Una continua ricerca di equilibrio

“Tutto nella vita ha un suo equilibrio. In questo modo tutto va meglio”. È l’insegnamento che il maestro Miyagi (Noriyuki “Pat” Morita) dà a Daniel LaRusso (Ralph Macchio) nel film cult degli anni ’80 Karate Kid, pellicola che ha raccontato le arti marziali come approccio positivo alla vita. Nello sport in generale, si sentono spesso paragoni di questo tipo. E nel pentathlon è più vero che mai: «Pratico più di due discipline diverse al giorno – racconta Malan – perché a differenza del triathlon, per esempio, dove tutte e tre sono di fatica, noi abbiamo il tiro con la pistola che si può allenare anche in quelle giornate dove hai spinto tanto a nuoto o di corsa. La mia giornata è molto piena, dalle 6 alle 8 ore. Insomma, non ci si annoia mai. Come in tutte le cose ci sono pro e contro ma il fatto di avere a che fare con cinque sport diversi fa sì che nei periodi in cui si fa fatica da una parte, ci si tiri su il morale dall’altra. Il pentathlon è una continua ricerca di equilibrio.»

Allenarsi a gestire il tempo e dargli il valore che merita

Nell’agenda personale di un atleta di pentathlon, il tempo ha un valore preziosissimo. Tutto va gestito in modo accurato, perché la maggior parte di esso è dedicato all’allenamento: «Non potrei fare quello che faccio se non avessi imparato a organizzare la mia giornata nei minimi dettagli. Oltre al fatto che sono sport diversi, sono diversi anche gli impianti dove mi alleno: pista di atletica, poligono, piscina, maneggio, palestra. Non è facile incastrare tutto ma è un’abilità che si impara e che poi ti ritrovi nella vita. Secondo me, il pentathlon è una scuola di vita versatile e poliedrica perché ti insegna a dare valore al tempo. Quando sei assorbito da tanti impegni, quello libero che ti rimane lo dedichi alle cose importanti, quelle che contano davvero.»

Il ruolo del gruppo e il rapporto coi social media

Proprio perchè il tempo ha un valore prezioso, Giorgio Malan ha costruito attorno a sé un gruppo importante di affetti, a partire dallo staff tecnico, un team di 11 allenatori che per lui è come una seconda famiglia: «Ho più allenatori per singolo sport e fare gruppo è fondamentale. Nel mio caso funziona benissimo perchè alla base c’è una passione comune molto forte che orienta tutte le scelte, ed è una fortuna perché non è scontato. Poi c’è la mia famiglia, che non mi ha mai ostacolato o fatto pesare nulla. Avere vicino persone che capiscono quello che fai ti fa stare più sereno e concentrato mentalmente, oltre a permetterti di vivere quel poco tempo libero che hai con la massima qualità.»

E a proposito di qualità, un altro ruolo importante nella vita di Malan ce l’ha sua fidanzata Alessia, judoka 24enne con all’attivo già 1 oro, 1 argento e 1 bronzo a livello europeo nella categoria juniores: «Ha fatto judo per tutta la vita – racconta il bronzo olimpico – e sa cosa vuol dire fare sport ad alti livelli. Una persona cosi riesce a capire bene quello che vivi e come lo vivi; cosa che per esempio i miei coetanei fanno fatica a fare fino in fondo, domandandosi perchè bisogna andare a letto presto tutti i giorni o perché non puoi uscire un po’ di più e trascorrere un weekend da qualche parte. La vita dell’atleta è questa, devi fare dei sacrifici. In questo periodo lei vive a Milano mentre io sono rimasto a Torino, ma nei weekend troviamo sempre la voglia di vederci e l’energia di staccare. Lo sport non annoia, ma sapersi ritagliare del tempo per trascorrerlo con chi ami è importantissimo per recuperare le energie.»

E infine i social media, che per un ragazzo della sua età, anche se atleta, “dovrebbero” occupare una parte più o meno rilevante. E invece no: «Li utilizzo da fruitore ma se non ci fossero sarebbe anche meglio. Mi piace stare nel mio e fare le mie cose. Non sento l’esigenza di pubblicizzare al mondo intero tutto quello che faccio, anche perché non ho tempo, ma capisco bene che sono strumenti potenti per far conoscere il mio sport alle giovani generazioni. E questa è una cosa buona.»

Ispirato da Phelps, Pogačar, Sinner a Paltrinieri

Per Malan, che prima di Parigi aveva vinto tre volte il titolo italiano di pentathlon moderno (2020 juniores, 2021 e 2022) e l’oro ai Giochi Europei di Cracovia 2023 (davanti al campione olimpico in carica Joseph Choong), l’Olimpiade di Parigi è stata il coronamento di un sogno coltivato per lungo tempo e che oggi rappresenta un nuovo punto di partenza: «Sono contentissimo del bronzo perchè ho acceso un faro sul nostro sport e l’ho fatto divertendomi al 100%; senza pensare troppo. E ho visto che funziona. Ma sono anche contento per tutto il movimento che mi auguro possa continuare a crescere. Io sono arrivato terzo, Matteo Cicinelli quinto. A Tokyo non si era qualificato nessuno. Alle ragazze, invece, è mancata la zampata vincente in finale. Ora c’è Los Angeles nel mirino. Sappiamo già dove migliorare e in teoria c’è tempo. Ma da un certo punto di vista non ce n’è così tanto, anche perché l’equitazione sarà sostituita da un percorso a ostacoli.»

Nuovi stimoli per Malan, quindi, proprio come quando era un bambino. E oggi che è diventato un po’ più grande (sportivamente parlando) racconta da chi prende ispirazione: «Sinner per me è un esempio sotto tutti i punti di vista, perché non si ferma alla vittoria momentanea ma la celebra quanto basta per poi pensare a dove poter migliorare.» Un esempio, quello del tennista numero 1 al mondo, anche quando si tratta di gestire pressioni e aspettative altrui: «Come dice sempre Jannik, la pressione è un privilegio. Mi piace prendere spunto da sportivi così. Pogačar, per esempio, è un altro fenomeno. Lo chiamano cannibale ma ha umiltà e voglia di divertirsi. Mi piacciono molto anche Phelps e Paltrinieri. Nel veder gareggiare Gregorio, per esempio, ho fatto mia un po’ della sua filosofia sportiva. È un atleta un po’ atipico ma che si è sempre distinto sia dentro che fuori la vasca. Da lui ho imparato che la strategia migliore non è concentrarsi su quello che fanno gli altri ma pensare a quello che devo fare io e divertirmi quando lo faccio. Dando il 100%. Ho visto che funziona, così lavoro su quello.»

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