Ci vorranno ancora 134 anni perché gli uomini e le donne siano trattati allo stesso modo nel mondo. Come testimonia l’ultimo Global Gender Gap Report, la strada è ancora lunga. circa cinque generazioni in più rispetto all’Obiettivo di sviluppo sostenibile fissato al 2030. Ma è una strada, quella da percorrere per garantire alle donne pari diritti, che richiede attenzione continua perché, in molti Paesi, anche diritti che parevano acquisiti rischiano di essere messi in discussione. Lo dimostrano le diverse iniziative di legge – discusse o implementate in tutto il mondo in questi mesi – che pur segnando dei progressi evidenziano come ci siano sfide, di portata globale, che ancora oggi le donne devono affrontare.
Tra i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile che dovranno essere realizzati entro il 2030 a livello globale, lo ricordiamo, il quinto è “raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”. Eppure, bassa emancipazione femminile e ampi divari di genere continuano ad essere all’ordine del giorno in tutto il mondo. L’Sdg5 (acronimo inglese di Sustainable development goal) dell’Agenda 2030 mira a raggiungere la parità tra donne e uomini sotto vari aspetti: ad esempio nello sviluppo economico, con un’equa rappresentanza nelle posizioni di leadership e pari diritti nell’accesso alle risorse economiche; ponendo fine a ogni forma di discriminazione e, ancora, prevedendo l’eliminazione di tutte le forme di violenza nei confronti di donne e ragazze (compresa l’abolizione dei matrimoni forzati e precoci e delle mutilazioni genitali femminili).
Gambia, il rischio di un ritorno della pratica delle mutilazioni genitali femminili
Scampato pericolo in Gambia dove l’assemblea nazionale a metà luglio ha votato per mantenere il divieto sulle mutilazioni genitali femminili (mgf). La nazione dell’Africa occidentale ha infatti respinto, e definitivamente affossato, un controverso disegno di legge che voleva revocare il divieto di queste pratiche e che aveva attirato anche l’attenzione delle Nazioni Unite, che ne avevano chiesto il ritiro.
Le mutilazioni genitali femminili sono riconosciute a livello internazionale come una violazione dei diritti umani delle donne e possono causare danni fisici – fino alla morte – oltre che psicologici. Il Gambia le aveva vietato nel 2015 e, con l’Agenda 2030, l’obiettivo internazionale è eradicarle in tutto il mondo entro il 2030. I progressi ci sono, oggi le bambine hanno 1 terzo di probabilità in meno di subire una mgf rispetto a 30 anni fa, ma sono troppo lenti. Un’indagine demografica e sanitaria del governo gambiano mostra che il 73% delle donne di età compresa tra i 19 e i 49 anni è stato sottoposto alla procedura e, nella maggior parte dei casi, il “taglio” viene eseguito prima del quinto compleanno.
Secondo Unicef, il numero di donne sopravvissute alle mutilazioni genitali supera oggi i 230 milioni in tutto il mondo. La maggior parte di loro vive in Africa. Solo quest’anno, secondo l’Unfpa, quasi 4,4 milioni di ragazze sarebbero a rischio. Ciò equivale a più di 12.000 casi al giorno. Non solo il Gambia si colloca tra le nazioni con i tassi più alti di mgf al mondo ma, in caso la legge fosse passata, sarebbe stato anche il primo Paese a revocare il divieto.
Stop ai matrimoni precoci in Sierra Leone
A metà giugno la Sierra Leone ha promulgato una legge per porre fine ai matrimoni precoci. Determinante nella lotta è stata anche la campagna Hands Off Our Girls (“Giù le mani dalle nostre ragazze”) della first lady Fatima Bio. Nel Paese, il 30% delle ragazze si sposa prima dei 18 anni, il 9% prima dei 15, denuncia l’ong Girls not brides. I tassi sono ancora più alti nelle aree rurali. La nuova norma proibisce il matrimonio prima dei 18 anni, prevede per i trasgressori l’applicazione di pene che vanno da una multa alla detenzione e stabilisce un pacchetto di compensazioni per le giovani vittime.
Le associazioni umanitarie denunciano che i matrimoni precoci violano i diritti umani, privano le ragazze dell’istruzione e le lasciano più esposte alla violenza. Inoltre, aggiunge Human Rights Watch, i matrimoni precoci alimentano l’alto tasso di gravidanze adolescenziali in un Paese, come la Sierra Leone, dove le complicazioni in gravidanza sono la principale causa di morte per le donne di età compresa tra i 15 e i 19 anni.
Nel mondo, ogni anno 12 milioni di bambine e ragazze si sposano prima dei 18 anni
Preoccupazioni speculari per le spose bambine stanno interessando anche l’Iraq dove si teme che un nuovo disegno di legge possa portare a una regressione nei diritti delle donne e aumentare i matrimoni infantili. La proposta, sostenuta da deputati conservatori, prevede che i cittadini possano scegliere se trasferire il potere decisionale sulle questioni familiari dalle autorità statali alle quelle religiose. Di particolare preoccupazione è il potenziale impatto che questa scelta potrebbe avere sull’età minima per il matrimonio, che è attualmente fissata a 18 anni da una legge del 1959 (considerata come una pietra miliare dei diritti delle donne nel Paese) ma che, temono i più critici, potrebbe arrivare fino a 9 anni. Altri timori sono legati a una riduzione dei diritti in materia di eredità, divorzio e custodia dei figli. Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia, il 28% delle ragazze in Iraq si sposa già prima dei 18 anni.
In Marocco passi avanti nel diritto di famiglia
L’attenzione sul diritto di famiglia è alta anche in Marocco, dove è in corso una revisione della Moudawana, ovvero il Codice di Famiglia. Si tratta di un atto legislativo in 400 articoli che regola, tra le altre cose, lo stato civile di base delle donne nella società. La riforma riflette il più ampio obiettivo di allineare il quadro giuridico del Marocco agli standard globali dei diritti umani oltre ad affrontare le esigenze in evoluzione della società. La Moudawana attuale, che è stata sottoposta a revisione già due volte, nel 1993 e nel 2004, prevede gli stessi obblighi e diritti dei coniugi all’interno del matrimonio, consente a entrambi il divorzio, prevede la divisione dei beni, oltre a limitare la poligamia. Inoltre ha innalzato l’età legale del matrimonio da 15 a 18 anni e ha reso le molestie sessuali punibili dalla legge. La nuova riforma mira ad adeguare la legislazione alla Costituzione del Marocco e ad accordi internazionali firmati negli anni dal regno, come la Convenzione sui Diritti dell’infanzia e quella sull’Eliminazione di tutte le forme di Discriminazione contro le donne (Cedaw).
La Svezia spinge sulla parità salariale
Sul fronte dell’equa retribuzione tra uomini e donne, la Svezia è il primo Paese ad avere annunciato un piano per l’attuazione della direttiva Ue sulla trasparenza retributiva. Il governo svedese ha pubblicato infatti la sua relazione d’inchiesta sulle modifiche che dovranno essere fatte alla legge esistente per garantire la conformità ai nuovi dettami europei. La proposta è attualmente in attesa di essere deferita a varie organizzazioni ed enti governativi nazionali, che poi dovranno fornire un feedback sulle modifiche proposte entro il 4 ottobre 2024.
In termini di gender pay gap in Svezia, nel 2022 la retribuzione delle donne è stata inferiore del 7% a quella degli uomini (rispetto a una media dell’Ue dell’11%, secondo i dati dell’Ocse). A livello internazionale la direttiva Ue sulla trasparenza dovrà entrare negli ordinamenti nazionali in tutti gli Stati membri entro il giugno 2026.
Indonesia, si discute di diritti riproduttivi
L’Indonesia, il Paese musulmano più popoloso del mondo, questa estate sta affrontando il tema dell’aborto. Il 26 luglio il presidente Joko Widodo ha firmato un regolamento governativo che estende la finestra legale per l’aborto nei casi di violenze da 6 a 14 settimane di gestazione.
Il cambiamento arriva in risposta alle richieste da parte di attivisti per i diritti delle donne e operatori sanitari secondo cui il precedente limite era troppo restrittivo, in particolare nei casi di stupro. La nuova legge, come ha raccontato Bloomberg, fa parte di una riforma sanitaria più ampia volta ad affrontare l’alto tasso di mortalità materna dell’Indonesia, uno dei più alti del sud-est asiatico con 189 morti materne ogni 100.000 nati vivi.
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