Media, mezzi d’informazione e social media rafforzano o scardinano gli stereotipi?

La diversità in tema di sessualità, etnia, religione, istruzione e occupazione è tema di confronto in Europa ormai da molti anni. In questo scenario, i media tradizionali e quelli di nuova generazione (new media) giocano un ruolo importante, perché potenzialmente possono rafforzare o scardinare stereotipi e pregiudizi.

Da alcuni anni, però, la Commissione europea ha posto il genere e l’inclusività in cima alla sua agenda politica, prestando attenzione ai settori in cui diversità e divari di genere sono spesso trascurati. Ne è un esempio il programma MEDIA di Europa creativa, a sostegno dei settori culturali e creativi per il periodo 2021-2027. Lo ha raccontato tempo fa Ilaria Potenza di Alley Oop al microfono di Michele ‘Wad’ Caporosso, conduttore radiofonico del programma Say Waaad e punto di riferimento per la Gen Z per i temi di diversità e inclusione: “Oltre al programma Erasmus, nato nel 1987 da un’idea della pedagogista italiana Sofia Corradi, l’Europa sta lavorando concretamente su più fronti. Dal progetto inclusivo Alma, che promuove l’inserimento sociale e professionale dei giovani nel loro paese di origine, a quelli di sostegno per giovani donne nel posizionamento in alcune carriere come quelle nel settore tecnologico-digitale e musicale, fino ad oggi ad appannaggio dei ragazzi”.

A livello scolastico, invece, l’ultimo rapporto Eurydice (ottobre 2023) raccoglie tutte le politiche e misure in vigore ad oggi per sostenere gli studenti che hanno maggiori probabilità di subire svantaggi e discriminazioni, e le aree dove agire ulteriormente per migliorare la situazione.

Diversità e inclusione nei media europei

In che modo l’Europa garantisce un miglior rispetto della diversità e inclusione nella produzione dei contenuti per industrie cinematografiche, televisive e streaming? Da molto tempo, nella legislazione europea dei media c’è una forte consapevolezza sui principi di uguaglianza e non discriminazione basati su genere, luogo di origine e disabilità. Temi che negli ultimi anni sono ancora di più sotto la luce dei riflettori. A questo proposito, il rapporto annuale IRIS Plus dello European Audiovisual Observatory (osservatorio europeo del settore audiovisivo) raccoglie le aree di intervento, le norme legislative in vigore e le riforme in corso del quadro giuridico a livello europeo e nazionale. I rapporti IRIS Plus 2023, per esempio, hanno riguardato l’accessibilità ai contenuti audiovisivi per le persone con disabilità, l’attuale legislazione UE in materia audiovisiva e l’equa remunerazione per autori ed artisti che concedono i diritti per l’uso delle loro opere o performance.

In Italia pochi contenuti inclusivi ma ottime le serie tv kids

E in Italia? Come vengono trattati dai media i temi di diversità e inclusione? I dati del Diversity Media Report 2023 – ricerca annuale sulla rappresentazione delle diversità realizzata dalla Fondazione Diversity con l’Osservatorio di Pavia – mostrano un calo di notizie nei telegiornali che riguardano persone e tematiche Lgbtq+. Due le principali motivazioni: il naufragio del ddl Zan in Senato nell’autunno del 2021 (tra gli applausi di una destra che non riteneva utile e urgente una legge per punire le discriminazioni e le violenze basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere) e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022, evento che ha quasi “monopolizzato” l’agenda della comunicazione italiana; complici anche le rapide evoluzioni (ancora in corso) degli scenari geopolitici internazionali. Tra i numeri del report, si osserva che tra le oltre 42 mila notizie scandagliate nel 2022, la disabilità ha raccolto un mero 1,3%. Mentre è andata peggio per i temi Lgbtq+ o legati all’aspetto fisico, con una copertura vicina tra lo 0,2 e lo 0,3%.

Sul fronte dell’intrattenimento, i dati raccontano che la tv italiana è povera di contenuti inclusivi (film, serie tv e programmi) mentre c’è più attenzione per i temi Lgbtq+, generazionali e di genere. I programmi esistenti e le relative tematiche, però, sono poco approfonditi e spesso trattati con toni che scaldano l’opinione pubblica e colpiscono la pancia del Paese attraverso dibattiti conditi da linguaggi di odio contro individui o intere fasce di popolazione (hate speech). Non va meglio neanche al tema della disabilità, trattato con pietà e paternalismo. Ottime invece le serie tv kids, capaci di ottenere le migliori performance in tema di varietà di rappresentazione, correttezza di linguaggio e livello di approfondimento dei temi. Ed è un bene, considerando che per i bambini la diversità è un pregio, una ricchezza e un valore aggiunto, come ha dimostrato un’indagine online del 2021 svolta su un campione rappresentativo, in cui l’87% degli italiani ritiene che ci sia ancora molto da fare in tema di accettazione della diversità e per 7 intervistati su 10 i pregiudizi aumentino con l’età.

Meglio radio, podcast e social media

“Diversa”, invece, è la situazione delle piattaforme streaming e i canali pay, che registrano dati migliori. I programmi radio, i podcast e il mondo digitale dei creator, sono più inclini e capaci di far emergere i temi della diversità. La radio, per esempio, rispetto alla potenza della televisione ha un’altra caratteristica, non meno importante e altrettanto potente: è un mezzo di comunicazione intimo perché arriva dritto al cuore di più di una generazione. Lo sa bene Michele ‘Wad’ Caporosso, per due volte in nomination ai Diversity Media Awards con Say Waaad nella categoria miglior programma radiofonico: “Sono bianco, italiano, nato in Italia, etero. Sapere di avere il rispetto, la stima e la credibilità da parte della comunità Lgbtq+ e da coloro che subiscono disagi e ingiustizie a causa della propria diversità, è un grande onore. E il futuro non si vergognerà di noi. Nel mio lavoro di speaker radiofonico ho imparato cos’è la diversità ospitando in radio persone che parlavano di diversità e che la subivano in diversi modi.

“La diversità – continua Wad – è un problema solo per chi non ascolta e giudica, e cioè la maggior parte delle persone. Per cambiare prospettiva serve allenare la propria sensibilità. Mentre per qualcuno, invece, serve proprio andarsela a cercare da qualche parte nel proprio spazio interiore, per imparare che quel ‘problema’ si risolve accettando che una qualsiasi realtà possa essere differente dalla propria. Solo così il racconto è vero e autentico. Solo così una trasmissione radiofonica può non essere solo show ma anche un racconto della cultura contemporanea. È una crescita costante, interiore e a volte spirituale. Oltre ad imparare storie, nozioni, facts, si impara anche come essere e come non essere. Quali esempi seguire e quali no. E che il pregiudizio è sempre una forma di ignoranza. Credo davvero che un media come la radio sia fortemente legato alla formazione della personalità di chiunque la faccia o la ascolti. È un mezzo di comunicazione sano ed educativo, anche quando non vuole esserlo”.

Poi ci sono i social media, che occupano una fetta importante nella comunicazione sulle tematiche legate alla diversità perché rappresentano spazi di accoglienza, dibattito confronto e supporto. Ne è un esempio la storia di Chiara Bucello e Ludovica Billi, due ragazze affette da forme diverse di sordità conosciutesi su TikTok durante il primo lockdown del 2020; e che da allora hanno costruito una community online per la comunicazione e l’informazione sulla disabilità uditiva e la lingua dei segni. Oppure Tasnim Ali, giovane aretina nata da genitori egiziani che sempre su TikTok racconta l’inclusione e cancella stereotipi, pregiudizi e ignoranza, rispondendo a domande su temi come l’amore, la famiglia, il cibo, il velo e il matrimonio con uno stile schietto, ironico e senza giri di parole.

E a proposito di radio e social media (sempre più connesse tra loro anche grazie alle App), spesso si assiste ad iniziative nate dall’incontro di questi due mezzi di comunicazione che dialogano e sanno parlare la lingua dei Millennial e della Gen Z, arrivando a portare un messaggio fin dentro le Università e i licei. A raccontarne uno spaccato è sempre Michele ‘Wad’ Caporosso: “Vivo l’epoca dei social media come tanti miei coetanei, quei Millennial che hanno aperto la scatola magica lasciatagli in eredità dalle generazioni precedenti e dentro hanno trovato precarietà, ambiente distrutto, pregiudizi, ansia sociale e bisogno di conferme, politiche debolissime e dittatura delle performance. Il mio lavoro di speaker radiofonico mi ha portato a scoprire che in diverse università alcuni studenti cominciavano a chiedere la tesi su Say Waaad, così abbiamo deciso di proporre un tour nei principali atenei per parlarci e confrontarci su alcuni dei temi che trattiamo all’interno del programma: cancel culture, circular fashion, diversity, salute mentale e rapporto col successo all’interno della narrazione della perfezione a tutti i costi”.

“Ci siamo resi conto di vivere in periodo difficilissimo – conclude Wad – tra un grandissimo senso di smarrimento psicologico e la paura; della novità, della diversità, del futuro. Il mio invito ai ragazzi è lo stesso che rivolgo a me: allenare molto il senso della scoperta attraverso l’ascolto ed essere credibili, perché è grazie alla credibilità se a volte può capitarci di fare qualcosa di incredibile”.

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