Dalla politica alle serie Tv: occupiamoci dell’endometriosi

Una malattia cronica e invalidante, che colpisce le donne forse da sempre, ma verso cui solo negli ultimi anni si è cominciato a rivolgere attenzione: si tratta dell’endometriosi, una patologia che affligge il 10-15% delle donne in età riproduttiva. Secondo i dati del ministero della Sanità, nel complesso le donne con una diagnosi conclamata di endometriosi sono almeno 3 milioni, e circa il 30-50% delle donne non fertili o che hanno difficoltà a concepire ne sono affette. Ma si consideri che questi dati tengono conto, appunto, solo delle diagnosi conclamate, mentre resta nell’invisibilità un numero indefinito di donne che accetta il disagio e il dolore come qualcosa di ineluttabile legato all’essere femmina, senza mai nemmeno sospettare di avere a che fare con una patologia.

Consapevolezza, prima di tutto

Se esiste una Giornata internazionale dedicata all’endometriosi, che cade ogni anno il 28 marzo, è perché si è compreso quanto fosse necessario creare cultura attorno a questa problematica, sia per aiutare le donne che ne soffrono a conoscere il motivo della loro sofferenza, sia per direzionare l’attenzione di istituzioni e società verso un tema che necessita di interventi mirati. L’endometriosi è un’infiammazione cronica benigna degli organi genitali femminili e del peritoneo pelvico, causata dalla presenza anomala, in questi organi, di cellule che, in condizioni normali, si troverebbero solo all’interno dell’utero. Può essere all’origine di forti dolori all’addome, ai genitali, talvolta di difficoltà o impossibilità ad avere rapporti, come anche di sofferenza durante l’espletazione dei bisogni fisiologici.

Il picco si verifica tra i 25 e i 35 anni, ma la patologia può comparire in fasce d’età più basse. Non tutti i medici, e talvolta nemmeno gli specialisti, sono sufficientemente preparati a riconoscere la patologia, e ad accompagnare la donna a prenderne coscienza e a trovare modi per curarla o conviverci con meno disagio possibile. Certo, oggi sono sempre di più i medici che ne parlano. Ma la diagnosi arriva spesso dopo un percorso lungo e dispendioso, il più delle volte vissuto con gravi ripercussioni psicologiche per la donna.

“È solo un mal di pancia”, “hai la soglia del dolore troppo bassa”, “con te non si può fare mai niente, stai sempre male”: sono solo alcuni degli esempi di ciò che può essersi sentita ripetere nel corso della vita una donna che soffre di endometriosi. Lo sguardo colpevolizzante della società è raccontato benissimo dalla serie tv “Antonia”, un dramedy lanciato il 4 marzo su Amazon Prime Video, scritto e interpretato da Chiara Martegiani, co-sceneggiatrici Carlotta Corradi ed Elisa Casseri.

Chiara Martegiani in “Antonia”

Antonia è una donna di trent’anni a cui è appena stata diagnosticata l’endometriosi, dopo uno svenimento per strada. Nella terza puntata, durante una pseudomeditazione sciamanica, ripercorre tutta la propria storia, dalla prima mestruazione al presente, incontrando tutto il bestiario delle colpevolizzazioni ignoranti, che riverbera in ogni episodio. Dal ginecologo che dice alla paziente con l’endometriosi che ne soffre perché non ha fatto figli (con buona pace di chi li ha fatti e ha continuato a soffrirne), alla madre che dice alla figlia adolescente schiacciata dai dolori “se non esci mai rimarrai da sola”, fino al medico di base che facendo il simpatico dice “e anche lei ha la malattia della donna moderna”, troppo stress, troppo di corsa, e di nuovo: è colpa tua.

Prevenire e affrontare l’endometriosi

Se è vero che quella di “Antonia” è una fiction, è anche vero che si basa in parte su un racconto autobiografico, e che punta un faro su una questione troppo spesso sottovalutata. Ecco perché diventa fondamentale iniziare a fare informazione e a far convergere sul tema l’impegno della politica, dell’ambito medico-scientifico, delle associazioni e anche delle aziende.

Secondo una ricerca di Carrefour Italia in collaborazione con SWG SpA, svolta su un campione di 617 donne italiane maggiorenni, quasi una donna su due ha dichiarato di conoscere la malattia e il 4% delle donne intervistate ha dichiarato di esserne affetta, mentre l’11% non esclude la possibilità di esserlo. In generale, una donna su tre ha dichiarato di conoscere almeno una persona che soffre di questa condizione.

Solo una piccola parte delle intervistate (meno del 4%), è in grado di riconoscere correttamente tutti i sintomi, le cause, le conseguenze e le possibili terapie. Quasi una donna su due pensa che per alleviare i dolori basti assumere farmaci antidolorifici, mentre il 35% crede che sia facile da diagnosticare, già alla comparsa dei primi sintomi.

La situazione di forte disinformazione e confusione sul tema si riflette dunque anche sulle abitudini e sulle scelte delle donne in materia di prevenzione e cura: quasi il 60% delle donne che ha il dubbio di essere affetta da endometriosi non ha mai effettuato una visita di controllo. Un dato allarmante se pensiamo che si tratta di donne in età fertile, che pur essendo consapevoli delle caratteristiche e delle implicazioni dell’endometriosi, non hanno ancora trovato il coraggio o l’opportunità di verificare le proprie preoccupazioni. La percentuale di donne che non si sottopone a controlli aumenta tra le over 45 e tra chi non conosce la malattia.

In generale, le donne più informate sono le under 45 e quelle con una scolarità più elevata, mentre le intervistate con una scolarità più bassa sono anche quelle che dichiarano di non averne mai sentito parlare (il 21%).

Alle donne intervistate non sfugge l’importanza di adattare il luogo di lavoro alle necessità dell’individuo affetto da endometriosi. Smart working, congedi retribuiti e servizi di informazione sono state indicate come le tre principali azioni da attuare per favorire l’inclusione lavorativa femminile. A queste si sono affiancate, anche se con un tasso di gradimento inferiore, la possibilità di avere un aiuto economico per sostenere le cure mediche e la creazione di percorsi di sensibilizzazione in azienda per diminuire i pregiudizi verso chi ne soffre. Sono temi che né il legislatore né i datori di lavoro possono ignorare, ma che ancora in pochissime aziende vengono affrontati.

La salute è un diritto

Certo non si può pensare che lo smart working risolva il problema. Lavorare da casa può risparmiare l’imbarazzo di dover spiegare una macchia di sangue o uno svenimento, ma non cambia le condizioni di salute: le donne che soffrono di endometriosi sono spesso stremate da dolori, insonni e febbricitanti. È questo che significa “patologia invalidante”.

Grazie all’ingresso nei Livelli essenziali di assistenza (LEA), le donne con endometriosi hanno ottenuto il diritto ad esenzioni per alcune visite e analisi, al terzo e quarto stadio può essere riconosciuta una percentuale variabile di invalidità civile, con impatto quindi sui diritti in ambito lavorativo. Ma questo non è ancora sufficiente.

Il Consiglio dei ministri spagnolo ha approvato un disegno di legge il 17 maggio 2022 in materia di protezione dei diritti sessuali, riproduttivi e diritto all’aborto, dove, tra le varie tutele, la novità più grande è l’introduzione del congedo mestruale, che consente dunque l’assenza giustificata dal lavoro alle donne che possono dimostrare clinicamente di avere un ciclo particolarmente doloroso.

In Italia sono state depositate negli anni diverse proposte di legge, a partire da quando nel 2005 una prima indagine conoscitiva fu svolta sotto la responsabilità della senatrice Laura Bianconi. Le proposte più recenti sono quella del 4 agosto 2023 delle deputate Ilenia Malavasi e Antonella Forattini (Pd-Idp), l’altra del 21 luglio 2023, del senatore Andrea De Priamo (FdI). In entrambe rientra il riconoscimento del congedo lavorativo e l’importanza di una diagnosi precoce, utile anche per scongiurare l’abbandono scolastico.

Quello della giustizia mestruale è un concetto a cui si lega una delle campagne di WeWorld. organizzazione italiana indipendente impegnata in progetti per garantire i diritti a tutte le persone a partire dalle comunità più vulnerabili. Secondo WeWorld, che ha lanciato un vero e proprio manifesto, non ricevere informazioni adeguate rispetto alla gestione del proprio ciclo mestruale, non poter scegliere liberamente per il proprio corpo, il persistere di tabù e stereotipi sull’argomento, il dover rinunciare a praticare sport, a uscire, a partecipare a occasioni sociali per vergogna o imbarazzo sono tutte manifestazioni di ingiustizia mestruale. Gli effetti dello stigma legato alle mestruazioni non sono solamente sociali, ma anche economici e materiali.

In Italia, per esempio, WeWorld ha sempre sostenuto l’eliminazione della Tampon Tax, la tassa sui prodotti mestruali come assorbenti, tamponi, coppette, sottolineando come anche la politica e la legislazione debbano occuparsi della salute femminile. Per salvaguardare il diritto delle donne alla partecipazione alla vita pubblica, supportandole a superare le limitazioni fisiche, e a comprendere che non è scritto nel loro Dna l’obbligo a convivere con un disagio o con la sofferenza. La salute è un diritto di tutte.

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