Il soffitto di cristallo nella carriera accademica

Cosa è cambiato nelle università italiane negli ultimi 10 anni in tema di parità di genere? Ce lo racconta l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur), che ha recentemente pubblicato nel Rapporto Anvur 2023 un’analisi di genere delle università italiane che descrive i numerosi cambiamenti avvenuti negli ultimi dieci anni nel nostro sistema di istruzione terziaria, e sottolinea gli scarsi progressi nel colmare il divario di genere delle carriere accademiche. Il grafico, qui di seguito, mostra che il numero di uomini e di donne all’inizio del percorso di carriera è simile, ma la divaricazione inizia a partire dai ricercatori a tempo determinato (RTD) per proseguire tra i professori associati (PA) e diventare più ampia per i professori ordinari (PO) e per i rettori e rettrici in carica.

Componente maschile e femminile nei passaggi di carriera accademica. Anni 2012-2022 (quote percentuali sui totali).

Prof, possiamo dire che questo grafico dimostra che anche nella carriera accademica c’è discriminazione di genere?

No, non così direttamente. Possiamo dire che questo grafico dimostra che c’è una marcata segregazione verticale nella carriera accademica, cioè che al crescere del potere, del prestigio e della retribuzione di una posizione lavorativa cala la quota di donne che ad essa è abbinata. La discriminazione invece è la disparità di trattamento a parità di ogni altra caratteristica, ma per identificare la componente discriminatoria dobbiamo separare la differenza legata alle diverse caratteristiche dei due generi da quella residua, che non ha giustificazione e che indica il rendimento diverso che le stesse caratteristiche hanno quando chi le possiede è uomo o donna.

Quindi in questo grafico la discriminazione non c’entra?

Certo che c’entra, ma non emerge al primo sguardo, bisogna provarla, come hanno fatto le professoresse di Harvard nella controversia con il loro rettore, l’economista Larry Summers.

L’ipotesi di Summers

Nel 2005, durante un seminario, fu chiesto al rettore Larry Summers perché fossero così poche le professoresse di matematica ad Harvard. Numerosi studi della stessa università avevano già dimostrato che i principali ostacoli alla carriera scientifica delle donne erano il fatto di essere sposate e avere figli da un lato[1] e le valutazioni discriminatorie dall’altro[2], ma Summers rispose alla domanda sostenendo che le barriere dovute alla discriminazione e ai fattori sociali potrebbero essere meno rilevanti delle differenze di genere nell’abilità innata.

Summers ha argomentato che il genere è predittivo delle abilità innate perché il diverso funzionamento dei cervelli di donne e uomini porta a differenti risultati cognitivi, come dimostrano gli esiti dei test di matematica, o più in generale di intelligenza (QI), dove più uomini che donne hanno risultati eccellenti. Infatti, nella curva a campana (gaussiana) che rappresenta la distribuzione del QI di due gruppi di individui con lo stesso valore medio ma di genere diverso, la presenza maschile è più marcata agli estremi mentre quella femminile è più concentrata intorno al valore medio. Ciò significa che ci sono più uomini che donne sia nel segmento degli individui con un QI molto basso sia nel segmento degli individui con un QI molto alto.

Poiché Harvard seleziona solo gli scienziati migliori, è corretto, dal punto di vista meritocratico, che ci siano più uomini che donne in posizione apicale, perché nell’estremo superiore della gaussiana che rappresenta i risultati dei test ci sono più uomini che donne.

La posizione di Goldin

Assisteva a quel seminario anche Claudia Goldin, docente di economia di Harvard e Nobel per l’Economia 2023, autrice di alcuni di quegli studi che avevano evidenziato i numerosi ostacoli alle carriere femminili. La professoressa Goldin, il cui lavoro era stato in verità citato nel controverso discorso di Summers, ha precisato in un’intervista sul Boston Globe di non ritenere affatto che le differenze di abilità innata tra uomini e donne siano una spiegazione convincente della scarsa presenza femminile ai vertici della carriera accademica, poiché i risultati di ricerca dimostrano l’esatto contrario, e cioè che le eventuali differenze di genere nell’abilità innata sono molto meno importanti delle barriere discriminatorie e dei fattori sociali. Ciò che è stato ormai ampiamente dimostrato è il fatto che uomini e donne con capacità simili (ad esempio, con lo stesso QI) hanno risultati di carriera diversi, in particolare nella matematica e nell’ingegneria.

Nell’intervista Goldin, pur argomentando contro l’ipotesi di Summers, non ha attaccato direttamente il suo rettore, anzi, lo ha difeso sostenendo che era stato frainteso, e che era ben consapevole dei numerosi ostacoli alla carriera dalle professoresse di Harvard. Le reazioni contrarie furono però una marea, e Summers diede le dimissioni. Il clamore suscitato dal dibattito diede grande risalto ai risultati di tutte quelle ricerche scientifiche che contraddicono l’ipotesi di Summers.

Argomenti contro l’ipotesi di Summers

1) È vero che nell’estremo superiore della gaussiana che rappresenta i risultati dei test menzionati da Summers ci sono più uomini che donne, ma la causa della sottorappresentazione femminile non è biologica; deriva invece dal condizionamento degli stereotipi, ed è l’evidenza di una profezia che si auto-avvera. I test non misurano l’input ma l’output di una prestazione; non misurano quindi le capacità cognitive innate ma il risultato di una prova d’esame, ed è dimostrato che le prove d’esame sono sensibili al condizionamento degli stereotipi (Steele e Aronson, 1995). Quindi il genere non è predittivo delle capacità cognitive innate, lo sono invece le determinanti psicologiche, sociologiche e culturali (Eagly 1997; Hide 2005).

2) Non c’è ragione di ritenere che il talento per la matematica sia differente tra i due sessi, e, in ogni caso, differenza non significa carenza. Nel libro Myths of gender (1992) la biologa Anne Fausto Sterling critica le spiegazioni di tipo biologico delle performance matematiche e rileva che, anche negli studi in cui emerge una differenza di genere, si tratta sempre di una differenza minima e spiegabile da punto di vista psicologico e socio-culturale.

3) Quello che invece la ricerca ha evidenziato senza alcun dubbio è che persone con la stessa abilità innata (cioè con lo stesso esito del test), ma di sesso diverso, hanno incentivi, riconoscimenti e percorsi di carriera molto diversi, specialmente in ambito scientifico.

È noto, ad esempio, l’esperimento condotto da Steinpreis, Anders and Ritzke (1999) sugli psicologi accademici. I valutatori dovevano esprimersi su uno stesso curriculum, presentato alternativamente con nome maschile e con nome femminile, sia per una prima assunzione sia per una promozione. Il nome rappresenta la differenza di genere; il curriculum, identico, rappresenta la parità di condizioni; la differenza di valutazione misura la discriminazione di genere. I valutatori, sia uomini sia donne, hanno preferito per l’assunzione gli uomini nel rapporto di 2 ad 1; per la promozione le riserve espresse per i nomi femminili furono il quadruplo; alle candidate venivano spesso richieste ulteriori informazioni (ad esempio. fare un seminario di presentazione dei lavori) o contenevano commenti dubitativi (ad esempio: “avrebbe ottenuto questi brillanti risultati anche se avesse lavorato senza coautori?”).

In sintesi, si possono rimproverare a Summers alcuni errori di comunicazione:

lo scienziato Larry Summers ha parlato per stereotipi, che sono l’esatto contrario del metodo scientifico, ed ha ignorato i risultati delle ricerche sperimentali che sono alla base del metodo scientifico. L’economista Larry Summers non poteva non sapere che il premio Nobel per l’Economia (2002) è stato attribuito allo psicologo Daniel Kanemann proprio per aver dimostrato il condizionamento degli stereotipi sulle scelte razionali (euristica della rappresentatività). Il Rettore Summers, con la sua improvvida risposta, ha consolidato la minaccia dello stereotipo, rafforzando così cioè l’ostacolo contro cui le professoresse di Harvard lottavano da tempo, e con qualche successo.

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[1] Ad esempio Goldin and Katz 2002.

[2] Ad esempio Goldin and Rouse 2000.

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