I linguisti dell’Oxford Dictionary hanno deciso: goblin mode è la parola che caratterizza il 2022, che abbiamo da poco salutato. Intercettata nel web, questa espressione è stata sottoposta al voto del pubblico, scelta da oltre trecentomila votanti e infine inserita nello storico dizionario che, come ogni anno, si fa carico del compito di individuare espressioni che definiscano il nostro tempo (pensate a “selfie” nel 2013), restituendo alla parola la capacità di rappresentare fenomeni emergenti.
Se il goblin è una creatura presente e variamente definita nella cultura popolare di molti paesi europei (piccola, misteriosa e grottesca, un po’ fata e un po’ demone), l’espressione “modalità goblin” sta ad indicare un comportamento autoindulgente, pigro, sciatto, che rifiuta le norme o le aspettative sociali. Perché è stata scelta come quella che meglio definisce l’anno appena trascorso, vincendo in modo clamoroso su “metaverso”? In che modo può aiutarci a riflettere sullo spirito di questo tempo?
Abbiamo un fardello, eredità degli ultimi tre anni, trascorsi tra pandemia, guerre e crisi climatiche. Tutti, indistintamente, siamo più consapevoli dell’imprevisto dietro l’angolo, pronto a saltar fuori e a scombinare ogni piano. Dopo “aver visto il nulla”, direbbe Montale, tornare “all’inganno consueto” non è possibile, se non al prezzo di uno scarto, di una incrinatura. Difficile pensare che qualcuno di noi non avverta su di sé quello scarto e quella incrinatura.
Ma non basta. Con il lockdown e la pandemia abbiamo anche allargato lo sguardo su noi stessi, sugli altri e su ciò che ci circonda: rimanere chiusi in case e in attesa ci ha costretto ad un cambio di prospettiva, facendoci scoprire che un altro modo – di lavorare, studiare e vivere – è possibile.
Non sorprende allora che riaperte le porte delle nostre case, abbassate le mascherine, recuperata una familiarità con la vicinanza e i suoi gesti, molti di noi si siano riscoperti diversi da ciò che pensavano di essere. Per anni abbiamo vissuto come Superman e ci risvegliamo Clark Kent. Un misto di pigrizia e autoindulgenza che invogliano a starsene tranquilli e prendersela comoda, come Drugo de Il Grande Lebowski. Malinconia, l’ha chiamata il CENSIS nell’ultimo rapporto sulla situazione sociale in Italia, pubblicato a dicembre 2022.
Ma chi dice che il goblin è triste? A volte lo è, ma è anche un po’ ribelle, refrattario alle consuetudini, cacciatore di significati, anziché accumulatore seriale di obiettivi raggiunti. Fateci caso: quante volte vi chiedete se “ne vale la pena”? Non importa di cosa: di prendere un aereo, uscire a cena, iniziare un film, continuare un lavoro. Un magnifico titolo di un articolo del New Yorker di qualche settimana fa recitava: “I’m Thrilled to Announce That Nothing Is Going On with Me” (“Sono felice di annunciare che non mi sta succedendo niente”). La vita ruota attorno ad “una mezza dozzina di cose che mi confortano e nulla di più” e va bene così. Sembra di sentire l’eco di Virginia Wolf: “Non c’è bisogno di mettersi fretta. Non c’è bisogno di brillare. Non è necessario essere nessuno se non se stessi“.
Dei ritmi di un tempo, di quella corsa a perfidiato, di quella frenesia oggi ci rendiamo conto e, istintivamente, sentiamo la tentazione di tirare il freno a mano. Non sempre effettivamente lo tiriamo e tante volte ci ritroviamo a correre come prima, ma resta la domanda: non è meglio starsene acciambellati?
Un altro mondo è possibile, più lento e meno performante. E allora svoltiamo, “sciatti” per necessità, ma anche un po’ per sano principio, più dubbiosi sulla ineludibile necessità di inseguire mete e prestazioni. Quasi in pace con noi stessi, ci lasciamo trasportare da folate di vento e ondate emotive, con minore programmazione e un pizzico di fatalismo. Ce ne andiamo zitti con il nostro segreto, direbbe sempre Montale.
Non è sempre necessario ricorrere a categorie diagnostiche – come la covid fatigue – per inquadrare le manifestazioni psicologiche di questa fase storica post pandemica, costringendola entro i confini della patologia, facendoci sentire malati. Si tratta di una condizione del nostro tempo, ancora da esplorare e da capire – chi la chiama modalità goblin e chi malinconia – e che in misura diversa coinvolge tutti. Ci guardiamo intorno, forse cercando un entusiasmo più motivato*.
*Cit (modificata) di Paolo Sorrentino da “Call my agent” Italia
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