La fine delle vacanze estive è un momento speciale, non solo perché si “rientra” al lavoro, ma anche perché – come ogni fine e ogni inizio – si tratta di un momento definito nel tempo. Scientificamente, i momenti definiti nel tempo, in cui qualcosa inizia o finisce, si chiamano “transizioni”, e ve ne sono di almeno tre grandi categorie: quelle previste, quelle impreviste e quelle “per assenza”.
Le transizioni impreviste sono gli “incidenti”: belli o brutti che siano, avvengono all’improvviso, non ce li aspettiamo e cambiano alcune cose in noi stessi e nel nostro contesto, fornendoci nuove conoscenze e nuovi strumenti per procedere. Pensiamo alle malattie, alla pandemia, agli eventi naturali o a una vittoria al totocalcio.
Le transizioni previste sono invece gli eventi che ci aspettiamo, che sappiamo che arriveranno – o che addirittura pianifichiamo noi stessi – al punto che a volte ne sottovalutiamo la portata di insegnamento perché ci sembra di arrivarci preparati e che quindi non abbiano un grande impatto. Pensiamo alla maternità, alla paternità, al matrimonio, ma anche alle vacanze estive, che tornano ogni anno e lasciano traccia apparentemente solo negli album fotografici.
Infine vi sono le transizioni “per assenza”, le più difficili da identificare ed elaborare perché riguardano ciò che “non ci succede”: pensiamo all’attesa di un figlio che non arriva, all’aspirazione a una promozione o a un cambiamento professionale, o anche all’attesa di un amore, la cui assenza può farci sentire soli e incompleti. Non avvengono, e proprio per questo sono anch’esse transizioni che aggiungono una dimensione identitaria alle nostre vite: la dimensione del “non essere”, che a sua volta influenza chi siamo, le nostre capacità e il nostro contesto.
La fine delle vacanze segna quindi un “momento nel tempo” – una transizione – e saperlo serve per uscire dalla logica del tempo continuo (o frammentato in un numero infinito di micro-momenti) a cui ci abituano i social con il loro flusso costante di immagini: riconoscere che si è in un momento specifico della propria vita rende quel momento un simbolo, ovvero una specie di casa per abitare quel luogo quasi sempre invisibile che è lo scorrere del tempo.
Il tempo è infatti come un luogo che noi “abitiamo” ed è per la maggior parte del tempo invisibile: abitudinario, noto, scontato, e solo a tratti improvvisamente fastidioso o sorprendente. Non lo vediamo quasi mai passare su di noi – salvo incidenti, come per esempio quando stiamo male e ci accorgiamo di essere invecchiati o cambiati – ma lo vediamo negli altri: i bambini, certo, e i ragazzi e gli anziani, e anche i nostri coetanei, se ci sorprendono con la loro età quando li rincontriamo all’improvviso dopo molti anni.
Quello che succede con il tempo è che, se non lo vediamo noi, si fa vedere lui, e spesso lo fa in modo brutale: mettendoci davanti all’inesorabile trascorrere delle nostre possibilità, e in particolare di fronte a quelle perdute.
Ma noi possiamo allenarci a vedere il tempo anche tutti i giorni, e possiamo farlo accorgendoci dei momenti che arrivano nel momento esatto in cui li viviamo. La fine delle vacanze è uno di questi momenti: è un “incrocio” che torna ogni anno e che quindi possiamo identificare e riconoscere. Un luogo simbolico in cui fare il punto, uno di quelli che il marketing chiama “moments of truth”, in cui possiamo domandarci per esempio:
Chi sono diventata? Che scelte sto facendo? Voglio rinnovarle?
Per questo le stagioni sono importanti: perché ci fanno “tornare” e ci mettono di fronte al tempo che scorre nelle nostre vite, instaurandovi però una ricorsività che dà senso al suo costante movimento in avanti, come nell’immagine della cicloide di cui parla l’antropologo Felice Di Lernia. Ma non avviene in automatico, anzi!
Perché i momenti della nostra vita diventino punti evidenti nella mappa di chi siamo, le transizioni – previste, impreviste o per assenza – vanno rese visibili e riconosciute anche nella loro fatica – o gioia, o tristezza, malinconia, ansia, desiderio: le transizioni sono sempre affollate di emozioni, e forse per questo istintivamente vorremmo passarvi sopra in velocità. Se non impariamo a prendere familiarità col tempo, non saremo mai noi a scegliere “il momento di”.
Il momento di fare le cose in modo diverso, oppure di fare le “cose importanti”, infatti, non arriva quasi mai da solo: è un appuntamento da mettere in calendario, magari proprio alla fine di una stagione estiva.
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