Lo sport vale una vita? A questa domanda ha cercato di rispondere l’associazione Change The Game. La presidente Daniela Simonetti cerca da anni di trovare una riposta che non sia il silenzio dell’omertà e della paura, ma sia una risposta attiva di istituzioni che vogliano accendere la luce su quel numero oscuro di atleti bambini e giovani che subiscono violenza nell’ambito dello sport.
I dati sul fenomeno non sono molti e spesso sono incompleti:
- 1 atleta su 7 al di sotto dei 18 anni ha dichiarato di aver subito abusi sessuali, molestie, violenze (università di Anversa); in Italia si celebrano circa 30 processi l’anno per abusi, ma i coach condannati per violenza sessuali e abusi su minori non vengono fermati; il ‘numero oscuro’ è il rapporto tra i reati denunciati e quelli realmente commessi.
- Si stima, infatti, che i reati commessi siano 4 volte superiori a quelli commessi, va accesa una luce su questo numero oscuro. I bambini non riescono a parlare e il silenzio inghiotte le vittime.
Il tema è stato oggetti di un convegno, aperto dalle testimonianze di 3 atlete accomunate da un passato di abusi e violenze.
Khalida Popal, ex capitana della squadra della Nazionale femminile afghana, ha raccontato la sua esperienza difficile in un Paese dominato da una società maschilista e con tanti anni di guerra alle spalle. “La mia missione è stata quella di essere un’attivista in Afghanistan usando il calcio per far conoscere i diritti delle donne. Il portare avanti questo discorso attraverso il calcio mi ha messo in pericolo e per questo ho lasciato il paese e vivo come rifugiata in Danimarca. Nel 2018 sono diventata la direttrice del programma di rifondazione della nazionale femminile afghana, abbiamo organizzato molti ritiri all’estero. Durante un ritiro abbiamo sentito voci di casi di abusi sessuali e come leader di questo progetto, insieme agli allenatori della nazionale ho cominciato a investigare per capire quanto fosse esteso questo fenomeno di abusi in Afghanistan”.
Il risultato di questa ricerche ha portato Khalida alla consapevolezza dell’assenza di un sistema per facilitare chi vuole denunciare un abuso. È necessario creare un ente indipendente dalle federazioni, dalla Fifa, da qualsiasi altra istituzioni, dove in modo anonimo gli atleti possano denunciare gli abusi e sentirsi protetti.
Questo ente esiste di fatto negli Stati Uniti e si chiama U.S. Center for Safesport, un organismo indipendente che giudica i reati sessuali, ha il potere di radiare in modo autonomo. E’ nato per evitare che accadessero altri casi vergognosi di abusi nello sport come lo scandalo tristemente noto del medico della federazione ginnastica artistica americana Larry Nassar. Una condanna arrivata alla fine di un processo epico, dove avevano partecipato 160 atlete in tutto – che nel corso di decenni Nassar era riuscito a molestare.
Anne Kursinski, classe 1959, ne racconta con fierezza il ruolo importante. Anne è stata la seconda testimonial di questo evento. 2 medaglie d’argento alle Olimpiadi in equitazione (at Seoul 1988 and Atlanta 1996), ha raccontato di essere stata vittima di abusi quando era bambina. Il suo allenatore fu radiato 24 anni post mortem.
Al convegno è intervenuta anche la campionessa di pattinaggio artistico su ghiaccio Sarah Abitbol, che a 15 anni subì violenza sessuale dal suo allenatore. In un video commovente racconta la sua storia, l’amnesia e la vergogna che ha provato per anni.
Ernesto Caffo, presidente di telefono azzurro conferma esserci ‘un velo che copre gli abusi nel mondo dello sport, questo rappresenta una grande sfida che Telefono Azzurro ha accolto. Da un’indagine di Telefono Azzurro e Doxa Kids si evince che il 10% dei ragazzi intervistati è stato vittima di bullismo in ambienti legati allo sport. Si aggiunga che il 4% dei casi di abuso sessuale offline – gestiti dal Centro di Ascolto 1.96.96 – è avvenuto all’interno di impianti sportivi. Nel 3% di questi episodi il presunto responsabile è l’allenatore. Questi dati sono allarmanti e richiedono un intervento immediato delle organizzazioni sportive e delle istituzioni. Telefono Azzurro è in prima linea per difendere il diritto allo sport e a uno sviluppo sereno dei minori attraverso l’attività fisica che garantisce notevoli benefici sulla pro-socialità e sul comportamento, favorendo la capacità relazionale e l’assunzione delle responsabilità’.
Alessandra Marzari, presidente Verovolley, ha poi commentato con sensibilità il ruolo dell’atleta nel perverso gioco dell’abuso sottolineando come ‘dobbiamo insegnare ai nostri bambini a non essere indifferenti a loro stessi, nei confronti di quello che capita agli altri, di dare senso ai comportamenti quando sono impropri, noi dobbiamo essere accoglienti un ascolto sicuro’.
C’è un problema di fondo secondo Change The Game : le vittime dicono di non poter denunciare perché sono perseguitati. Ci sono delle cortine invalicabili che si fatica a superare.
Roberto Samaden, direttore del settore giovanile dell’Inter, conferma ‘che siamo abituati a dare una responsabilità agli allenatori, ma responsabilità va data ai dirigenti che li scelgono e dovrebbero formarli. Noi dirigenti abbiamo una grande responsabilità. Le federazioni e tutte le istituzioni che si occupano di sport dovrebbero occuparsi della formazione dei dirigenti. È necessario mettere in atto delle azioni concrete’.
C’è aria di cambiamento. La necessità di passare ai fatti è accolta dal segretario nazionale della FGC Vito di Gioia che presenta le nuove policy della federazione calcio, a breve sarà infatti attivo (fgc.tutelaminori.it) un sito completamente dedicato alle formazione per atleti e tecnici. Dai codici di condotta alle segnalazioni da parte di atleti e famiglie di abusi subiti in campo: “E’ necessaria una governance che si occupi non solo dello sviluppo tecnico degli atleti, ma dei ragazzi stessi e delle loro necessità. Per noi fare calcio significa lasciare i ragazzi esprimersi al meglio, in un ambiente sicuro e protetto. Ci siamo dati degli obiettivi sulla tutela dei minori, uno strumento concreto sulle buone pratiche”.
La Fgc ha voluto mettere al centro tutti gli operatori, dai dirigenti agli allenatori e ai ragazzi stessi, per poterli raggiungere e coinvolgerli in questo progetto.
Paolo Ferrara direttore di Terre des Hommes ha sottolineato l’urgente importanza di considerare il mondo lo sport come ‘una comunità educante, questo significa lavorare a tutti i livelli, sui genitori, sui bambini e ragazzi, coinvolgere i ragazzi e i bambini con i loro input nella costruzione delle policy. Questo crea cultura. Il lavoro della formazione deve vivere continuamente. Bisogna raccogliere continuamente dal campo i feed-back. Esiste una comunità educante che deve tutta insieme essere coinvolta a qualsiasi livello in qualsisia momento per far crescere una cultura dello sport, del rispetto della non violenza e della capacita di denunciare’.
Le regole sono un altro punto su cui Game of Change chiede alle istituzioni di lavorare, come i termini di prescrizione ma soprattutto il tema dei certificati antipedofilia.
Sarebbe doveroso chiedere ad allenatori, dipendenti delle società sportive i carichi pendenti. Chi si macchia di reati a sfondo sessuale dovrebbe essere bannato dalla professione di allenatore. In questi anni molte persone condannate hanno continuato ad esercitare il loro mestiere nell’impunità, proprio perché pur esistendo una regola, non viene sempre applicata.
A conclusione del convegno Daniela Simonetti lancia una provocazione e un invito, perché tutti i partecipanti al convegno facciano qualcosa per aiutare la causa di Change The Game. Alley Oop c’è.