Il futuro del lavoro è fra noi: lo stiamo vivendo, ne definiamo i confini, ne sperimentiamo le potenzialità, e siamo chiamati a concorrere alla sua definizione. Il futuro del lavoro era già qui, ma si è resto evidente prepotentemente nelle case di tutti negli ultimi mesi, non è vero? Una professionista che il futuro del lavoro ha concorso a realizzarlo è Silvia Zanella, che ha scritto un libro a riguardo, pensato in epoca non sospetta, dal titolo: Il futuro del lavoro è femmina, uscito in questi giorni per Bompiani.
Il futuro del lavoro è femmina non è un libro sulle donne, e non è un libro femminista. E allora perché questo titolo? Perché il futuro del lavoro dovrebbe essere femmina? Ecco l’intervista a Silvia Zanella per #Uncaffècon, la nostra rubrica di interviste live su Instagram.
In questi mesi anche i capi più old style, grandi fan del command and control, hanno dovuto fare i conti con una nuova possibilità, il lavoro agile. Dove c’è competenza e fiducia la produttività resta, anche nel lavoro da remoto. Anche se di agile non abbiamo avuto niente, anzi, abbiamo vissuto e lavorato in una situazione di grande stress, Il modello gerarchico dell’”uomo solo al comando” applicato alla gestione delle persone è destinato a declinare. Un modello fordista, legato ad archetipi maschili, superato.
In questi mesi si è resa evidente l’efficacia di una cultura del lavoro basata su ascolto, comprensione, responsabilizzazione, delega, empatia, inclusione: una cultura del lavoro al femminile, cioè legata a competenze che socialmente e storicamente appartengono alle donne.
Gestione di tempo, spazio, relazioni professionali, visione sistemica e di impatto a lungo termine, impatto sociale: un approccio al lavoro del futuro sempre più femminile. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale e l’automazione, poi, le softskills – competenze trasversali avremmo detto un tempo – saranno sempre più competitive nel mercato del lavoro, perché distintive e non replicabili dalle macchine, e quindi preziose.
Il futuro del lavoro è femmina perché è necessario far entrare nuove categorie nel discorso pubblico, politico, manageriale, e serve una chiave di lettura diversa del lavoro e delle istituzioni: contaminare le istituzioni e le organizzazioni con quella diversità che guida l’innovazione, perché diversity drives innovation, lo dicono le migliori business school.