Il piccolo L. ha le ore contate: in qualsiasi momento una task force di poliziotti in borghese, assistenti sociali, pediatra, psicologo e tutrice lo preleveranno nella casa dove vive con la mamma e con i nonni per portarlo dal padre dove sarà collocato con l’assistenza di un operatore dei servizi sociali per 24 ore al giorno. Da quel momento in poi potrà incontrare sua madre una volta due settimane in un luogo protetto. Con questa decisione il Tribunale dei minori di Roma mette la parola fine a una lunga odissea giudiziaria che ha visto i genitori di L. fronteggiarsi in tribunale per l’affidamento del bambino,
Una vicenda lunga ed estenuante che Laura Massaro, la mamma di L. denuncia da anni. E che viaggia sotto il segno della Pas, sindrome di alienazione parentale, non esplicitamente nominata nel decreto, ma utilizzata di fatto come leva per la decisione. La donna e il bambino sono stati sottoposti a due consulenze tecniche d’ufficio, in tempi diversi ma con esiti simili. Le perizie hanno decretato che il rifiuto del bambino a incontrare il padre fosse ascrivibile alla sindrome di alienazione parentale, una sorta di mobbing messo in atto dalla mamma di L. nei confronti dell’altro genitore. Su questa “sindrome” però la comunità scientifica è divisa: il Dsm, manuale dei disturbi pschiatrici, non la cita, l’Osm non la considera, il ministero della Salute l’ha dichiarata inattendibile. E però nei tribunali italiani continua a fare scuola.
La tesi è che un bambino che ha difficoltà a intrattenere una relazione con un genitore, come nel caso di L., sia stato plagiato. Non contano le denunce presentate da Laura per stalking e violenza contro il marito. Il rimedio, come per altro stabiliva il famigerato ddl Pillon, è il “resettaggio”: il minore va allontanato dal suo ambiente, dai suoi legami, dalle figure di riferimento e costretto alla relazione con il genitore che rifiuta. Una “prassi” contestata da più parti che il ddl Pillon ha avuto il merito se non altro di scoperchiare: contro la Pas e il suo utilizzo nei procedimenti di affidamento dei minori si sono levate le voci di parlamentari, associazioni a tutela delle donne vittime di violenza, avvocati, centri per gli uomini maltrattanti, garanti per l’infanzia.
E’ cronaca recente l’interpellanza urgente della deputata Veronica Giannone (gruppo misto) che sul caso di L. ha chiesto chiarimenti al ministero della Giustizia. Nella risposta in Aula, il sottosegretario Vittorio Ferraresi (5s) ha fatto sapere che dagli atti in suo possesso non risultava alcun procedimento di diagnosi di alienazione parentale a carico di L. e sua madre.
Nessun giallo, nessun rebus. Perché sotto l’onda d’urto delle proteste che hanno investito il ddl Pillon, la parola Pas sta sparendo dalle carte processuali: al suo posto ora si parla di manipolazione, rapporto fusionale, simbiosi, ostracismo. Stessa minestra servita su un altro piatto. La Pas non compare nel testo della sentenza del Tribunale dei minori di Roma che strappa L. a sua madre: la donna, vi si dice, ha ostacolato il rapporto con il padre, il bambino soffre di un conflitto di lealtà. E quindi va costretto a vivere con il genitore che rifiuta. Che il bambino abbia dichiarato ai giudici di voler continuare a vivere nella sua casa, nel suo ambiente, con sua madre e i suoi nonni, non rileva. Non ha valore processuale. Non ha alcun peso. Ha peso, al contrario, una bigenitorialità a tutti i costi, estorta, coatta, imposta con l’uso della forza.
Contro il decreto, a sostegno della battaglia di Laura, hanno preso una durissima posizione anche i Centri Antiviolenza, le associazioni, i sindacati e le e organizzazioni che si sono unite e hanno lottato contro il Ddl Pillon. “Consideriamo questo decreto l’espressione massima di violenza istituzionale perché fortemente e sicuramente lesivo della salute psico-fisica di Laura e soprattutto di suo figlio”, si legge nel comunicato siglato da Differenza Donna Ong, D.i.Re – Donne in rete contro la violenza, Rete nazionale dei Telefoni rosa, Assist, Associazione Federico nel Cuore Onlus, Casa internazionale delle donne, Fondazione Pangea, CGIL, Rebel Network, UDI – Unione donne in Italia e UIL. “Abbiamo pensato sino all’ultimo – prosegue la nota – che il Tribunale trovasse una soluzione che tenesse presenti la violenza subita da Laura e l’esposizione del bambino alla violenza assistita. Così non è stato. Ci appelliamo alla presidente del Tribunale dei Minorenni dott.sa Montaldi affinché intervenga per non far vivere al bambino questa decisione che sarebbe per il piccolo, affetto anche da una patologia grave, una violenza e quindi un trauma per decisione del Tribunale che presiede”.