Il segreto delle sorelle Ture per conquistare l’Occidente (diario etiope/2)

e182088e-a817-4867-87bb-8e174815b8bc

Sono forti, le donne dell’Etiopia. Determinate. Possono costruire fabbriche nel mezzo delle baraccopoli e del fango. Possono studiare negli Stati Uniti e poi tornare indietro, per crescere i figli tra le lamiere. Proprio come le sorelle Ture. L’una stampa imballaggi alimentari, l’altra macina teff. Che cos’è, il teff? Un cereale piccolissimo e fragile che cresce solo in Etiopia e in Eritrea, a duemila metri d’altezza. Nelle case di Addis Abeba col teff ci fanno l’enjera, quel pane spugnoso e acidulo che non manca mai sulle tavole, né a pranzo né a cena. Ma il vero segreto del teff è quello di non contenere glutine, il che lo rende il superfood perfetto da vendere al ricco Occidente sempre più disposto a pagare caro per una dieta all’insegna della salubrità.

Incontro le sorelle Ture sotto un cielo al nero di seppia che minaccia la peggiore delle tempeste in questa primavera delle piogge etiopi. Per arrivare da loro, il pulmino ha fatto un paio di inversioni a U su uno sterrato che sembra la Parigi-Dakar e invece è una delle principali arterie che da  Addis Abeba vanno verso la periferiadella capitale. Anche qui, come a Merkato, le capre non fanno altro che mangiare lamiere, come se fosse l’unico destino possibile.

I Ture sono una famiglia votata al business. Il nonno, mi raccontano, è stato il primo etiope a commerciare in macchinari industriali con i cinesi. Un pioniere che ci vedeva lontano, visto che oggi la Cina è il principale investitore e il più importante partner commerciale del Paese. È grazie al suo naso per gli affari, che tutte e due le sorelle hanno potuto fare l’università in America. Ma con tutti quei soldi, che ci fanno ora tra le baracche di periferia? Un po’ il denaro è finiti, mi raccontano, e un po’ commerciare con i cinesi non era esattamente nelle loro corde. Così, si sono rimboccate le maniche e hanno ricominciato dal basso.

Il mulino Ture è l’unico in Etiopia a macinare teff a livello industriale, rispettando regole igieniche ferree. Nel resto del Paese, i piccoli chicchi della sua spiga vengono setacciati esclusivamente a mano. Nello stabilimento alle porte della città di farina se ne produce parecchia, tanto che per avere abbastanza rifornimento di materia prima si è ricorso a quelli che in Italia la Coldiretti chiama contratti di filiera: si va dai contadini sugli altopiani a Nord e gli si garantisce l’acquisto a prezzo fisso per una, due o tre stagioni. In cambio della certezza sul prezzo, loro si impegnano a seminare solo le qualità migliori e a raccogliere i chicchi nel modo giusto, senza danneggiare la pianta o disperderne troppi.

Un concetto piuttosto avanzato, quello dei contratti di filiera, per un Paese che ha sempre coltivato teff per la proprio sussistenza e non ha mai pensato ad esportarlo. Fino a che, pochi mesi fa, dopo tre anni di trafile burocratiche, le sorelle Ture ottengo la licenza 001: la prima, in tutto il Parse, che le autorizza a vendere il teff all’estero. Al mulino sono entusiasti: sanno che il teff è un cereale senza glutine, e scommettono che se riuscisse veramente a prendere piede sui mercati Occidentali farebbe svoltare non solo la famiglia Ture, ma la maggioranza degli agricoltori del Paese.

Per farlo conoscere, però, servirebbero una rete distributiva e un piano di marketing, e il teff Ture non può contare su niente di tutto questo. Ma, dicono le sorelle, ci sono i vecchi amici dell’università e la numerosa comunità etiope in America da cui cominciare, per spargere la notizia. E poi si vedrà. Certo, negli Usa – come in Europa – il teff potrebbe essere venduto a dieci, venti volte il prezzo che ha oggi sul mercato etiope. Se si affermasse, come il re dei cereali senza glutine, potrebbe valere quanto una terra rara. Potrebbe perfino diventare il petrolio dell’Etiopia. Basta reinvestire i soldi dell’export nella modernizzazione agricola, dicono le sorelle Ture, e si potrebbe raddoppiare o anche triplicare la produzione. E i loro bambini, che ora scorrazzano tra le lamiere e il fango, potrebbero tornare a sognare le università americane.

Secondo voi, c’è un futuro in Italia per il teff? Sono pronta a fornire l’indirizzo mail delle sorelle Ture a chiunque fosse interessato a entrare in questo business.