Tre motivi per cui non possiamo “lavorare sempre di più” (checché ne dica il fondatore di Alibaba)

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I numeri hanno sempre il loro fascino, ma il “996” riportato in auge dal fondatore di Alibaba, Jack Ma, fa un po’ paura. Sta infatti per “lavorare dalle 9am alle 9pm, 6 giorni a settimana”. Secondo il cinese più famoso del mondo, è fortunato chi ha una tale passione per il proprio lavoro da potersi godere un 996, a tutto vantaggio della propria felicità e della produttività del Paese. Siamo quindi caldamente invitati a lavorare 12 ore al giorno da qualcuno che, dall’altro dei suoi 40 miliardi di dollari di patrimonio, si trova ad essere uno dei modelli di successo di questo secolo. Povero Ma.

Il primo pensiero che arriva inevitabile davanti a tanto ottimismo produttivo è: ma l’amore? Gli affetti, gli hobby, la primavera, un viaggio, il tempo per una carezza? Sono solo il ghiaccio in cui infilare un cervello fumante dopo 12 ore di “lavoro”? Anche se il lavoro è una passione, anche se col lavoro cambiamo il mondo e produciamo beni e innovazione per tutti, anche così: è davvero tutto qui?

7f50a59a-b90f-427d-8883-e9ce38a99858E poi il tempo… tra poco sarà il primo maggio, la festa dei lavoratori. E’ la ricorrenza di una tragedia avvenuta il 4 maggio del 1886 negli Stati Uniti. A quell’epoca, i lavoratori passati dalle campagne alle fabbriche avevano perso il diritto a seguire gli orari del sole e avevano cominciato a combattere per riprendersi un po’ di tempo. Durante una manifestazione esplose una bomba, morirono delle persone, altre furono condannate. Il tempo era un bene prezioso, un diritto che nasceva come personale e veniva ceduto in cambio di denaro, sempre oggetto di negoziazione.

Il concetto di “weekend” è nato solo nel 1938, quando il presidente Roosevelt ha firmato il “Fair Labor Standards Act” che ha ridotto le ore lavorative degli Americani a 40 settimanali. Una bella mano gliela aveva data Henry Ford, che riteneva che le persone avessero bisogno di tempo libero per poter usare le sue automobili, fare scampagnate, spendere soldi anche in altri consumi. Ma insomma, il secolo scorso per il tempo si combatteva e si moriva, mentre oggi lo diamo per ceduto interamente e anzi: essere “busy” è il mantra del nostro secolo, e il tempo dedicato a noi è diventato “tempo perso”.

Quanto tempo possiamo ragionevolmente risparmiare, e come lo risparmiamo, per sacrificarlo sull’altare di quello che Jon Staff e Pete Davis nel loro libro “Come andare via: trovare un equilibrio nel nostro mondo ultra-occupato, ultra-affollato e sempre on” chiamano “martirio lavorativo”? Nella terra di Momo, personaggio di Michael Ende, i banchieri del tempo erano omoni tristi e grigi che convincevano le persone ad andare sempre più veloci per mettere da parte il tempo nelle loro banche. Metterlo da parte per usarlo… quando?

“Non esco mai dall’ufficio per mangiare e mangio ogni giorno la stessa cosa – dice un CEO nel libro di Staff e Davis – e non mi siedo mai per mangiare. Il mio obiettivo finale è creare un sistema operativo personale che mi consenta di pensare il meno possibile alle decisioni sciocche che si devono prendere nel quotidiano per potermi focalizzare interamente sulle decisioni reali”.

5460060b-f513-4196-bfad-8ad74fcdfe32Abbiamo nominato vita e tempo, ma c’è un terzo elemento che non torna nel 996 di Jack Ma, ed è proprio la cosiddetta produttività. Più o meno dai “tempi moderni” di Chaplin in avanti, la produttività è diventata sinonimo di accelerazione. Grazie alla tecnologia, siamo tutti immensamente più produttivi delle generazioni che ci hanno preceduti. Diversi pensatori del 20° secolo lo avevano previsto, immaginando che questo avrebbe significato una riduzione via via crescente delle ore lavorate. Per citarne uno, l’economista John Maynard Keynes aveva immaginato una settimana lavorativa di 15 ore nel 2020. Invece lavoriamo sempre di più e sempre peggio, e infatti nel complesso la produttività della specie umana del suo insieme è “piatta” o in certi casi addirittura decrescente. Perché da tempo – da almeno 40 anni ormai? – la produttività non è più proporzionalmente commisurata al tempo in molte, moltissime professioni.

Le macchine sì, possono produrre sempre di più, all’infinito, per unità di tempo. La mente umana no. La meraviglia della nostra specie sta proprio nella non linearità della produzione del nostro pensiero, nel fatto che “non siamo macchine”. Come alcuni Paesi del nord Europa hanno già verificato e messo in pratica, migliora sia la nostra vita che la qualità del nostro lavoro se prendiamo atto della finitezza delle risorse che ogni giorno possiamo dedicare al lavoro, e del bisogno di molto altro per ricaricarci. L’amore, il tempo di cui sopra.

Tempo libero da tutto, tempo per la noia e per le cose “non importanti”, quelle che non producono altro che ciò che siamo: persone che, tra le altre cose, lavorano.