Il mistero senza tempo di Antonello da Messina. In mostra a Milano

 

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San Girolamo nello studio, particolare, 1475 ca., olio su tavola di tiglio, 45,7 x 36,2 cm, The National Gallery, Londra. © The National Gallery, London

Antonello da Messina, basta il nome e l’incantesimo si verifica: di colpo siamo nel Rinascimento, attraversiamo stanze silenziose dal pavimento che digrada in prospettiva, affondando in una penombra rischiarata da una luce mediterranea, dove giovani donne timide e velate sfuggono il nostro sguardo, forse a disagio tra santi sfarzosamente vestiti dai gesti alteri, mentre scrutiamo i volti di individui ignoti, che pure misteriosamente riconosciamo come compagni di viaggio.

La grande mostra milanese, prodotta da Palazzo Reale e MondoMostre Skira in collaborazione con la Regione Sicilia e il Comune di Milano-Cultura, è un’occasione preziosa per ammirare 19 opere del maestro siciliano, più della metà della sua intera produzione che conta 35 pezzi giunti fino a noi.

La scelta di non includere opere di altri artisti, se ci preclude la possibilità di confronto con i maestri a lui contemporanei, ci ripaga ampiamente con la possibilità di un esclusivo faccia a faccia con Antonello, che inizia con uno dei massimi capolavori della pittura rinascimentale, il San Gerolamo nello studio.

1_-014-antonello-da-messina-san-girolamo-nello-studio-the-national-gallery-londraLa prima reazione davanti a un’opera così solenne e ricca di dettagli è di solito di sorpresa: ci aspetteremmo una grande pala, mentre si tratta di un dipinto alto meno di 50 cm. Eppure questa tavoletta ha un potere magnetico cui è difficile sottrarsi: San Gerolamo, dottissimo dottore della chiesa che tradusse dal greco in latino la Bibbia, domina quella sala colma di silenzio, libri, strumenti di scrittura e animali fantastici e, osservandolo intento nella lettura del codice che regge con entrambe le mani, ci sembra di percepirne lo svolgersi del pensiero. Man mano riconosciamo dettagli che al primo sguardo sfuggono: il gatto grigio sulla pedana a sinistra, le pantofole ai piedi della scaletta, gli uccelli in alto che si alzano e si posano sul davanzale delle finestre gotiche, le porzioni di paesaggio che illuminano sui lati l’ambiente.

Stiamo guardando uno spazio naturalistico e verosimile, ma allo stesso tempo un luogo della mente: San Gerolamo è l’intellettuale umanista, immerso nel colloquio con gli antichi maestri, e il suo studio è uno degli studioli che i signori del Rinascimento si facevano costruire nei loro palazzi, una stanza intima nella quale riposare e meditare tra manoscritti miniati, dipinti, oggetti di oreficeria e manufatti curiosi e preziosi. Ma la tavola è anche una grandiosa macchina prospettica e luminosa, basata su un effetto di controluce a partire dal grande arco di pietra fortemente illuminato, attraverso il quale il nostro sguardo avanza nella penombra, guidato dalle diverse fonti di luce che dilatano lo spazio, idealmente infinito eppure geometricamente misurabile, razionale ma caldo, dove sembra di avvertire il rumore del silenzio.

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Crocifissione, 1465 ca., tempera (?) su tavola di pero, 39,4 x 23,1 cm, Muzeul Național Brukenthal, Sibiu, Romania. © Foto Giulio Archinà

Mi sono dilungato, ma è l’effetto delle grandi opere di Antonello, come la Crocifissione di Sibiu (Romania), nel cui vastissimo paesaggio a volo d’uccello del golfo di Messina ci si può perdere, lasciando libero il nostro occhio di arrivare fino alle isole Eolie, che non possono essere viste da quel punto, ma che Antonello convoca nell’immagine per fare della crocifissione un episodio che sta accadendo qui e ora, sulle rive del mare siciliano. È il sintomo di una sensibilità nuova degli uomini del secondo ‘400, che Antonello interpreta con finezza ineguagliata: la ritroviamo negli abbracci di trascinante affettuosità meridionale con cui i bambini si gettano al collo delle sue bionde ed eleganti madonne, nell’intensità di sguardo dei suoi santi e, naturalmente, negli indimenticabili ritratti.

Antonello è nutrito da una cultura ricca e articolata, grazie alla posizione della Sicilia al centro della fittissima rete di scambi di merci, persone, esperienze e stili di vita che attraversa il Mediterraneo, unendo Valencia e Maiorca alla Provenza e a Napoli, capitale del regno aragonese di Alfonso il Magnanimo, Venezia dominatrice dei flussi commerciali alle Fiandre e all’Oriente: il nostro si perfeziona alla bottega napoletana di Colantuono, viaggia per l’Italia e giunge a Venezia, dove lascia opere acclamatissime. 3_id-043-antonello-da-messina-madonna-col-bambino-national-gallery-of-art-washingtonIn mostra c’è un documento eccezionale della sua fama (e uno dei pochi punti fermi della sua misteriosa biografia): la lettera del 1476 con cui il duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza, chiede al suo ambasciatore a Venezia di convincere Antonello a diventare suo pittore di corte, “essendo morto magistro Zanetto [Zanetto Bugatto pittore degli Sforza] nostro pictore quale retraeva dal naturale in singulare perfectione”.

Antonello, lo sappiamo, è infatti un ritrattista magistrale e la mostra ha esempi indimenticabili: l’uomo di Cefalù, il ritratto di Torino, quello della Galleria Borghese e il giovane di Philadelphia sono opere che non trovano paragoni nel ‘400 nemmeno in Leonardo, tanto la stupefacente capacità di introspezione risulta in anticipo sui tempi, facendo pensare alle inchieste psicologiche di Giorgione e Lotto in pieno ‘500.

vis, 27-10-2006, 11:14, 8C, 5990x7678 (10+232), 100%, IRbn, 1/8 s, R25.6, G18.0, B54.0

Ritratto d’uomo (Ritratto Trivulzio), 1476, olio su tavola di pioppo, 37,4 x 29,5 cm, Museo Civico d’Arte Antica, Palazzo Madama Torino. © Studio Fotografico Gonella 2010 “su concessione della Fondazione Torino Musei”

Sono stati scritti fiumi di parole sull’espressione insondabile, irresistibilmente siciliana, dell’uomo del ritratto Trivulzio: incrociandone lo sguardo siamo noi a sentirci soppesati e giudicati da quel volto, che si stacca potente dal fondo nero, secondo una soluzione iconografica debitrice dei pittori fiamminghi. Ma Antonello non imita, crea il suo stile inconfondibilmente italiano: seleziona e descrive con splendida esattezza solo alcuni elementi individualizzanti – le sopracciglia scomposte, il porro sulla fronte, le pieghe profonde agli angoli della bocca – e li monta in una composizione classica per sobrietà e potente sintesi, che si imprime come un marchio a fuoco negli occhi e nel cuore di chi guarda.

Con una decisione insolita e benemerita, siamo invitati a scoprire i segreti dello stile di Antonello da un cicerone di eccezione: Giovan Battista Cavalcaselle (Legnago 1819 – 1897 Roma), un grande italiano non noto al grande pubblico come meriterebbe, uno dei fondatori della storia dell’arte come disciplina scientifica. In mostra una serie di suoi taccuini, fitti di splendidi disegni, schizzi e appunti presi davanti alle opere infaticabilmente scovate in musei, chiese e collezioni private in Italia ed Europa, ci mostra l’affascinante percorso che lo portò a riconoscere per primo la mano di Antonello in molte opere che il tempo e la perdita dei documenti avevano relegato all’anonimato.

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Annunciata, 1475-1476, tempera e olio su tavola, 45 x 34,5 cm, Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis, Palermo. © Foto Giulio Archinà

Quasi in chiusura incontriamo il capolavoro più affascinante, l’Annunciata di Palermo. Antonello ci stupisce con un’ iconografia innovativa: l’angelo è assente, davanti a noi solo una giovane dalla bellezza non idealizzata, sorpresa da quell’annuncio inconcepibile da cui tenta di difendersi col gesto delle mani, l’una aperta in uno scorcio magistrale, l’altra che cerca riparo serrando i lembi della sua veste azzurra. Maria non ci guarda, è concentrata su un punto tutto interiore: il riserbo che aleggia nella stanza di una vergine siciliana del ‘400, il mistero sconvolgente dell’avvenimento sacro generano un’atmosfera sospesa, silenziosa e irreale che contagia irresistibilmente gli spettatori. Qui anche le voci si abbassano, basta guardare…