“Ho vissuto l’esperienza di aver ricevuto fiducia nel prendere la leadership. La sensazione che hai come dipendente quando ti accade qualcosa del genere è così importante che vorresti che tutti gli altri potessero sperimentare la stessa sensazione e impegnarsi nell’organizzazione”. A parlare è Karl Fritchen, giovane manager vendite della zona Asia Pacifico della QuadTech, divisione della Quad/Graphics fondata dai fratelli Quadrucci nel 1971 a Pewaukee, Wisconsis.
Quando si espresse in questi termini, Fritchen non si riferiva al suo incarico di ceo della QuadTEch, ma alla piena fiducia e totale libertà d’azione che gli fu data sin dall’inizio. E che lui assunse con grande entusiasmo e senso di responsabilità. E’ così che emergono i leader naturali nelle aziende liberate. Ma l’aspetto più interessante è che tutti sono chiamati all’auto-gestione e all’espressione di sé, in un ambiente che soddisfa i bisogni universali dei lavoratori di essere trattati intrinsecamente come uguali e di essere rispettati in quanto persone, così che possano fare al meglio il loro lavoro.
Ma aziende liberate da cosa? Secondo Isaac Getz, professore alla ESCP, autore assieme a Brian M. Carney di Freeddom Inc. e uno dei protagonisti del movimento di liberazione globale che sta crescendo negli ultimi decenni, «trasformare i luoghi di lavoro significa ride-burocratizzare e ri-umanizzare le relazioni, sostituendo il controllo e la sfiducia con l’uguaglianza e l’equità di trattamento, così che le persone si sentano essere umani, invece di risorse umane».
Ed è esattamente questo il punto di partenza da cui le persone iniziano a fare miracoli, a sfornare idee innovative e a registrare performance migliori. Tutto sta nel liberare il potenziale che c’è in ognuno di noi. Del resto, già nel 1924, William L. McKnight, ceo di 3M, fu schietto nel chiarire il concetto: “Se metti un recinto intorno alle persone, esse diventeranno pecore. Dai alla gente lo spazio di cui ha bisogno”.
La nascita delle aziende del “come”, così come le definiscono gli autori, risale alla rivoluzione industriale e alla suddivisione del lavoro teorizzata da Adam Smith, che ha permesso di raggiungere livelli di produttività impensabili, ma ha avuto un costo sociale altrettanto alto. Togliendo alle persone la possibilità di avere un controllo sul loro lavoro, comprenderne il senso e condividerne i risultasti, l’auto-motivazione è scesa a picco e si sono resi sempre più necessari meccanismi di controllo per far osservare le procedure. Nei decenni questo modello ha portato a una progressiva burocratizzazione e deumanizzazione, che ancora oggi predomina. Di fronte a una crisi di business, infatti, la risposta più comune è la ristrutturazione, non certo la messa in discussione del modello.
L’errore lo spiegano bene i padri della libertà all’interno delle organizzazioni, Robert Townsend, prima leader di una divisone di American Express e poi ceo di Avis, e Douglas McGregor, professore del Mit, si può sintetizzare così: il controllo e la minaccia delle punizioni non sono gli unici mezzi per spingere verso gli obiettivi aziendali; la più significativa delle ricompense per l’impegno teso al raggiungimento di un obiettivo sono la soddisfazione dell’ego e dei bisogni di auto-realizzazione; l’essere umano medio impara, in condizioni adeguate non solo ad accettare ma a cercare delle responsabilità.
Quindi la libertà sta nel non dire alle persone come devono fare il loro lavoro – questo significa rimuovere tutti gli ostacoli che lo impediscono, a partire dalle gerarchie, autorizzazioni, controlli, delegando il potere decisionale – ma perché, ovvero comunicare, condividere e presidiare continuamente la visione dell’azienda.
“Attenzione, non si tratta di una strategia, ma di una filosofia, e per l’esattezza di una business philosophy – specifica Getz -. Il movimento delle aziende liberate è a-ideologico, è molto più antropologico, vicino alla psicologia evolutiva, ispirato a una filosofia del benessere e della felicità. Non ha nulla a che fare con un modello di tipo cooperativistico, né tantomeno con la Lean, il Kaizen o Toyota, che tutti strumenti, non filosofie”.
Come avviare un processo di liberazione e quindi trasformare un’azienda del come in un’azienda del perché? Non c’è un unico modo, ma sono necessari leader liberatori, che negli studi di Getz sembrano mossi perlopiù o dall’esasperazione di fronte alle difficoltà di lavorare in un’azienda tradizionale o dall’ammirazione per aziende liberate. Certo è che devono avviare una radical evolution, ogni volta diversa, adeguate alle caratteristiche dell’azienda, della sua storia, del settore di business, ma effettuata con passi progressivi e accompagnata da tanta formazione. Nella maggior parte dei casi, le persone reagiscono in modo molto positivo. Il rischio maggiore sta nel sottovalutare la resistenza dei manager ad abbandonare il loro potere e a diventare degli anti-capo, ovvero a garantire le condizioni affinché le persone possano esprimersi. Se non si riesce a convincerli, l’esperienza insegna che la scelta migliore è quella di non trattenerli.
Non si può dire che le storie delle aziende liberate – da Michelin a Decathlon, Harley Davidson, Favi, Usaa, SOL, ecc – non siano entusiasmanti! Perchè non lasciarsi ispirare? Ci vuole coraggio, ma i risultati di business danno loro ragione.