
I Masai creano gioielli con le perline da molto tempo. Sono accessori preziosi ma non sono un vezzo. Hanno un simbolismo e un significato sociale. Per esempio i colori e la struttura delle collane possono indicare l’età, lo stato sociale e civile di qualcuno. Addirittura dall’intreccio di perline si può sapere se una donna ha dato alla luce un maschio o una femmina.
L’intuizione del potenziale commerciale di questi gioielli è di Marina Oliver, managing director dell’azienda, svizzera d’origine e africana di adozione. Fin dal suo arrivo in Africa nel 1994 ha sempre guardato con ammirazione questi accessori dai colori vivaci e i motivi intricati. É stata però la collaborazione con la ong Istituto Oikos che ha dato vita a “Maasai women art” nel 2006.
“La nostra idea – dice la responsabile – è unire le capacità di artigianali masai a modelli dal design innovativo che possano essere indossati in tutto il mondo”. Due anni dopo, nel 2008, il progetto diventa a tutti gli effetti un’attività indipendente economicamente. Oggi i monili di “Maasai women art”, che nel 2018 ha fatturato circa 80mila dollari, sono venduti sia localmente che esportati in tutto il mondo. La rete di vendita conta tra i 10 e i 12 Paesi. Il mercato maggiore sono gli Stati Uniti, seguiti dal Canada, e da poco si sono aggiunti rivenditori in Ungheria e Tailandia.
Oggi all’interno dell’organizzazione lavorano due gruppi di artigiane. La cooperativa Nasaruno a Mkuru conta 140 donne; a Meserani nel gruppo Enaboisho ce ne sono 25. Le mamas si occupano di tutte le fasi della produzione del gioiello: dall’acquisto del materiale da fornitori locali all’accessorio finito.
“Maasai women art” con il tempo ha cominciato a dare i suoi frutti, non solo finanziari. Le ricadute positive per le donne sono diverse: “con questa entrata alternativa di denaro, più alta di prima, hanno iniziato a mandare maggiormente i bambini a scuola, ad alimentarsi in modo più sano e vestire meglio i figli”, dice Oliver. Così stanno lentamente acquistando autostima e un poco più di potere e rispetto nelle comunità a cui appartengono. La situazione è di forte disparità ma sta lentamente cambiando. Come spiega la responsabile: “Grazie ai soldi guadagnati ogni anno comprano una capra. Gli animali non appartengono al marito, come solitamente avviene, ma garantiscono alle donne una indipendenza finanziaria. E con il denaro, stanno guadagnando anche maggiore potere decisionale”.
Il 2019 sarà l’anno della nuova collezione. Ad occuparsi del design dei gioielli è Francesca Torri Soldini, art director, con gli studenti dello Ied di Milano. Oliver spiega i passaggi della produzione: “per prima cosa viene organizzato un workshop in cui ogni studente propone un modello e viene fatta una prima selezione. Poi in Tanzania facciamo la scelta finale dei pezzi e le donne cominciano a produrre”. Ogni decisione viene sottoposta anche al parere delle lavoratrici e ogni artigiana viene pagata per i pezzi che produce. Marina Oliver dà anche alcune anticipazioni sulle novità: “l’anno scorso è partito un progetto per insegnare alle comunità Masai a conciare le pelli. La stilista Marina Spadafora ha ideato una collezione di borse e nel prossimo catalogo vorrei abbinarle ai gioielli”.
#Unimpresadadonne è il progetto che vede insieme AlleyOop – L’altra metà del Sole e la ong Istituto Oikos per raccontare l’imprenditoria femminile sostenibile. L’iniziativa è resa possibile grazie al sostegno dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.
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