Il finale era quasi un di più. La nazionale di volley italiana con la qualificazione alle finali dei campionati mondiali giapponesi dopo 16 anni dall’ultima volta, era già entrata nei cuori e nel tifo anche di quanti non sanno cos’è un bagher o perché ogni tanto il gioco e fermo e le atlete con il naso all’insù aspettano uno spezzone di video della partita.
Davanti alla tv in questo sabato ottombrino eravamo in tanti (i dati auditel poi ci diranno quanti) e sui social l’hashtag #ItaliaSerbia è il primo per tutto il tempo in cui la palla è volata da una parte all’altra del campo. Al quarto posto #azzurre, perché era questa la particolarità. L’Italia, dopo aver trepidato per le imprese del volely maschile nei mondiali di un mese fa (fermati proprio dalla Serbia e dalla Polonia), si è dovuta innamorare con il tempo della nazionale italiana che ha iniziato il proprio percorso quasi in sordina.
Su Twitter si trepida ad ogni schiacciata e ad ogni recupero. I neo-tifosi di volley incitano Miriam Sylla nei momenti di calo, si esaltano per Paola Egonu, sostengono Anna Danesi e urlano per Lucia Bosetti. L’Italia vince a mani basse il terzo set e si porta sul 2 a 1, in molti ci credono, un po’ meno le ragazza che nel quarto lasciano strada alla Serbia. Si arriva, quindi, tutti a soffrire seduti in pizzo al divano per un quinto set finale, decisivo, totale, che inizia con l’Italia in vantaggio.
Alla rete piace anche Davide Mazzanti, l’allenatore della nazionale che incoraggia le atlete e non si arrabbia, che sostiene ma non punisce per gli errori. E soprattutto applaude le avversarie e i loro gesti atletici, come le schiacciate della mancina Tijana Bošković. In un esempio di sportività che si vede raramente sui campi a questi livelli.
Alla fine l’Italia non riesce a strappare il sogno alla Serbia, e chiude il tie break su 15 a 12. Ma non è la perdita dell’oro, è la conquista dell’argento mondiale che dovranno portarsi a casa. Una squadra giovene, con una media di età di 23 anni e un mese, è la base su cui costruire il futuro e guardare a Tokyo 2020 per potersela giocare. E sui social poco importa la retorica delle giocatrici di colore, della politica che tira per la giacchetta atlete che sono oltre. Perché Egonu non è un modello per le sue origini, ma per la sua forza, la determinazione e il sorriso in qualunque occasione. E alle ragazzine, che stanno piangendo davanti alla tv specchiandosi in quel dolore e quella rabbia di Silla e delle altre accasciate a bordo campo, resterà solo questo. Che in fondo, si può fare.