Erano in tantissime e tantissimi. Una marea di oltre 5 mila persone ha riempito il centro di Verona sabato per partecipare alla manifestazione di protesta #La194nonsitocca della rete femminista Non Una di Meno contro la mozione antiabortista approvata dal consiglio comunale della città scaligera. Un impegno collettivo e massiccio che ha unito donne e uomini, associazioni, collettivi studenteschi e LGBTQI provenienti da tutta Italia scesi in piazza per l’iniziativa a favore dell’aborto libero e sicuro.
Non Una di Meno a livello nazionale ha aperto uno stato di agitazione permanente. Verona è la prima tappa di una mobilitazione che non si fermerà alla manifestazione nazionale prevista a Roma il 24 novembre, vigilia della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, ma continuerà fino allo sciopero globale l’8 marzo 2019. A muovere le attiviste sono gli attacchi ripetuti alla legge 194 che quest’anno compie 40 anni e in Italia regola il diritto all’aborto, ma c’è anche la protesta per il ddl Pillon sull’affido condiviso che attacca le donne vittime di violenza domestica. Ecco perché uno degli hashtag lanciati è #moltopiudi194.
La mozione contestata che ha scatenato la manifestazione è quella approvata con 21 voti a favore e 6 contro il 4 ottobre scorso, la n.434 che dichiara ufficialmente Verona “città della vita” e stabilisce di inserire nel prossimo assestamento di bilancio un congruo finanziamento ad associazioni cattoliche che promuovono i progetti antiabortisti dei movimenti pro vita. In particolare il progetto Gemma della Fondazione Vita Nova, “un servizio per l’adozione prenatale a distanza di madri in difficoltà, tentate di non accogliere il proprio bambino” ; il progetto Chiara per mamme disagiate del Centro Aiuto alla Vita di Verona e “Culla Segreta” destinato al parto in anonimato.
«Vogliono strumentalizzare la maternità» hanno dichiarato le attiviste veronesi di Non Una di Meno in un’intervista a Lettera Donna. «Noi non attacchiamo le associazioni che intendono sostenere economicamente le donne in gravidanza che si trovano in difficoltà. Noi attacchiamo i presupposti politici che stanno dietro alla mozione votata dall’amministrazione comunale, che testimoniano la precisa volontà di sfruttare il corpo delle donne».
Il testo della mozione, che cita esclusivamente fonti antiabortiste e pro life, parla del ricorso all’aborto definendolo “un’uccisione nascosta” e sostenendo che sia usato come metodo contraccettivo, si scaglia contro la diffusione della pillola abortiva Ru486 che avrebbe incrementato il numero degli aborti e diffuso “la cultura dello scarto”.
«La mozione poneva tutta la questione in termini positivi di tutela e incentivo alla maternità, ma in realtà voleva finanziare progetti e associazioni cattoliche che sono esplicitamente contro il diritto di interrompere una gravidanza. Intendeva dunque destinare risorse pubbliche a chi usa la “vita” – parola di cui questi movimenti si sono appropriati, ma a senso unico – per cancellare le libere scelte delle donne» ha scritto la giornalista e attivista Giulia Siviero sempre in prima linea.
L’iniziativa, votata anche dalla capogruppo del Pd al Comune Carla Padovani poi sfiduciata dal suo gruppo politico, ha come primo firmatario il consigliere leghista Alberto Zelger che si è definito pubblicamente antiabortista. In un’intervista ha dichiarato che iniziative come la sua, ossia il sostegno economico ai movimenti pro life, sono necessarie perchè «siamo in un periodo in cui non nascono più figli in Italia, tra un po’ saremo invasi dai bambini islamici e quando raggiungeranno la maggioranza applicheranno la legge islamica» per poi aggiungere «sulla 194 non c’è ancora una maggioranza governativa per abrogarla bisogna attendere e cambiare la cultura del vedere nascere un figlio come una ricchezza e non come un peso o una malattia. L’aborto lo ricordo è un abominevole delitto».
C’è anche una seconda mozione, la 441, accantonata durante la votazione del 4 ottobre, probabilmente verrà invece prossimamente discussa in consiglio. Prevede l’istituzione del cimitero dei “bambini mai nati” con la sepoltura automatica del feto anche senza il benestare della donna.
Posizioni che stigmatizzano le scelte delle donne e non riconoscono la loro libera autodeterminazione e il diritto all’aborto sancito dalla una legge, la 194, che, bisogna ricordarlo, è in parte svuotata nella sua efficacia dall’obiezione di coscienza, dai tagli ai consultori e dalle limitazioni all’uso della pillola abortiva RU486 come ribadisce Non Una di Meno che aggiunge: « L’autodeterminazione che rivendichiamo non è solo individuale, ma afferma la forza collettiva di un movimento globale.Per questo noi vogliamo: educazione sessuale per decidere, contraccezione gratuita per non abortire e aborto accessibile per non morire».
In tante alla manifestazione di sabato hanno urlato la loro rabbia, hanno scritto frasi di protesta e indossato mantelli rossi e copricapi bianchi. Sono gli indumenti simbolici indossati nella serie TV The Handmaid’s Tale, ispirata al libro il “Racconto dell’ancella” della scrittrice Margaret Atwood ambientato in un futuro distopico in cui le donne sono sottomesse a un ordine patriarcale che le ha trasformate in incubatrici, schiave utili solamente a generare figli e assicurare fertilità al loro Paese. «Abbiamo cantato, ballato e resistito – ha scritto Non Una di Meno Verona su Facebook – Perché vogliamo #moltopiùdi194. Perché i diritti delle donne, la parità salariale, i diritti riproduttivi, la lotta alla violenza domestica, sono i primi e fondamentali elementi della nostra lotta. Ma anche perché abbiamo molto chiaro che non c’è libertà delle donne senza la libertà di amare, desiderare, di unirsi con chi si vuole e di esprimere l’identità di genere che si sente di avere».
Una battaglia di libertà che non è solo delle donne, ma che riguarda tutti, ognuno di noi.