Educazione finanziaria, sei parte di un gruppo “vulnerabile”?

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Ottobre è il Mese dell’educazione finanziaria in Italia. Non è un tema nuovo quello delle scarse conoscenze finanziarie degli italiani, ma negli ultimi anni più che un tema è stato un grosso problema e quindi lo stato di emergenza ha obbligato il legislatore a correre ai ripari. Da un anno l’Italia si è dotata di una Strategia nazionale (Legge 17 febbraio 2017, n. 15 che ha fissato le “Disposizioni generali concernenti l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale”) con la quale è stato messo in atto un monitoraggio rigoroso delle varie attività di educazione finanziaria condotte a vario livello da vari soggetti. Ma soprattutto si è cercato di capire come misurare gli effetti di queste iniziative: la cosiddetta valutazione di impatto.

L’universo femminile è grande protagonista di questa operazione. In primo luogo per la decisa rappresentanza di donne in seno all’organo incaricato di implementare la Strategia, cioè il “Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria” istituito presso il Mef. Non è stato necessario ‘scomodare’ nessuna norma sulle quota rosa, è stata una scelta fondata sulle competenze, a partire da quella riconosciuta a livello mondiale ad Anna Maria Lusardi, che il Comitato lo presiede e coordina. Ma tra gli obiettivi della strategia (che ha un bilancio da 3 milioni di euro da utilizzare nel triennio 2017 – 2019 per finalizzare il suo programma) c’è anche una forte attenzione sui bisogni finanziari delle donne. La platea femminile è al centro della rosa delle principali iniziative che il Comitato ha già fatto decollare: ce ne sono per la generalità della popolazione, per i giovani e il mondo della scuola, per piccoli imprenditori e per gruppi definiti ‘vulnerabili’. Tra questi ci sono anziani, migranti e – appunti – donne.

Le aree su cui l’universo femminile ha bisogno di essere maggiormente sensibilizzato di incrementare la propria ‘preparazione’ sono certamente quella finanziaria ma, ancora di più, quella previdenziale e assicurativa. Le ragioni le conosciamo molto bene. Le maternità portano a frammentare la vita contributiva e questo è un primo grande problema con il quale le donne si scontrano solo a ridosso del momento di andare in pensione, quando ci si rendo conto che il mosaico dei versamenti ha reso troppo frastagliata la vita contributiva. L’altro grande tema, ancora purtroppo poco percepito da gran parte della collettività e poco digerito da chi, invece, lo ha compreso bene, è il trend demografico. Alcuni dati per testimoniare l’importanza di una corretta comprensione di questo argomento da parte l’universo femminile: in Italia nel 2017 c’erano 3 milioni e 373mila vedove contro quasi 751mila vedovi. Chi si incarica della vita di queste donne se non lo fanno loro stesse con tutti gli strumenti finanziari di cui si può disporre? Un ultimo dato: una recente indagine che arriva dal Museo del Risparmio spiega che il 21% delle donne italiane non ha accesso ad un conto corrente e il 9% non ha neanche un conto corrente di tipo familiare. Bastano questi tre spunti ad invogliare la donna a mettersi a cercare una qualunque iniziativa formativa sul territorio per rendersi più consapevole verso i problemi che, in prospettiva, la sovrasteranno?


Debora Rosciani è giornalista a Radio 24, conduttrice del programma Due di Denari e autrice, con Roberta Rossi Gaziano, del libro Matrimoni e patrimoni.

  • Marco Marcocci |

    Nell’articolo correttamente sono menzionati tra i “vulnerabili” anche i migranti. Almeno una parte di loro può essere certamente considerata come tale. In generale, per i migranti, l’educazione finanziaria deve riguardare anche i familiari rimasti nel paese di origine. Mi riferisco all’importanza delle rimesse di denaro che quasi sempre non sono impiegate in qualcosa di utile e produttivo una volta arrivate a destinazione. L’educazione e la gestione del risparmio (l’alfabetizzazione finanziaria) deve essere “glocale”.

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