Salvador Dalí: essere opera d’arte. Una mostra alla Sozzani

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Jean Clemmer, Dalí et Clemmer, 1962. © Jean Clemmer / Hèléne Clemmer

Chi non conosce le fattezze di Salvador Dalí?

Anche chi non sia appassionato d’arte, né solito frequentare mostre e musei, ben difficilmente non riconoscerebbe in una fotografia o in un disegno il volto dell’artista catalano, tanto la sua personalità estrosa, narcisistica e istrionica lo ha portato a lasciare un segno profondo non solo nel campo dell’arte e della cultura, ma anche nell’immaginario popolare. La notorietà di Dalí (che è altra cosa, ovviamente, dalla conoscenza della sua opera) non sembra conoscere flessioni né barriere generazionali, l’artista può essere a pieno diritto annoverato tra le icone pop a livello mondiale, caso unico rispetto anche ad altri grandi artisti novecenteschi come il connazionale Picasso; il solo Warhol può competere alla pari con lui. Volete un esempio recente? La canzone a lui ispirata della coppia di rapper nostrani Marracash e Gue Pequeño, intitolata proprio Salvador Dalí  inclusa nell’album del 2016 Santeria.

Provate a guardare il ritratto qui in apertura, dove Dalí posa di fronte all’obiettivo del fotografo Clemmer con in testa un diadema dorato di foglie d’alloro e contemporaneamente gira il volto verso un altro fotografo, l’autore appunto dello scatto che riprende entrambi: quale migliore esemplificazione dell’attitudine teatrale dell’artista, del suo desiderio di essere sempre al centro, anzi essere il centro dell’attenzione? Oltre ai suoi dipinti, disegni e incisioni, alle performance, ai numerosi scritti che ne fanno un protagonista non certo di secondo piano anche della storia delle letteratura del ‘900, forse la più grande e comprensiva opera da lui creata è il personaggio di sé stesso, Salvador Dalí, da lui interpretato e recitato sul palcoscenico della vita quasi senza soluzione di continuità, finché età e salute glielo permisero.

Un’occasione preziosa di scoprire un inedito tassello della personalità e dell’opera di Dalí ci viene offerta ora dalla Fondazione Sozzani con la mostra fotografica Salvador Dalí, Jean Clemmer ­ un incontro un’opera, allestita presso gli spazi di corso Como 10 fino al 9 settembre; mostra visitando la quale potremo sentire la voce dell’artista stesso, nel suo stentoreo francese dalla musicalità catalana.

Questa storia ha inizio a Port Ligat, villaggio di pescatori sulla Costa Brava a pochi chilometri da Figueres, la cittadina dove Dalí nacque e trascorse poi gran parte della sua esistenza (1904-1989), accanto all’amatissima compagna di vita e di arte, Gala (Elena Ivanovna Diakonova, Kazan’ 1894 – Port Lligat 1982): qui, nel 1962, avviene l’incontro con il fotografo svizzero Jean Clemmer (Neuchâtel 1926 – 2001 Parigi), personalità a sua volta poliedrica, artista e disegnatore di gioielli, stabilitosi a Parigi negli anni ’40, dove si lega ai circoli artistici e frequenta esponenti del Surrealismo come, in particolare, Jean Cocteau, scoprendo poi negli anni ’60 una vocazione per la fotografia, alla quale si dedicherà interamente, lavorando in particolare nella moda e nel nudo.

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Jean Clemmer, Le Clown, 1962. © Jean Clemmer /Hèléne Clemmer

I due artisti decidono di creare qualcosa assieme, utilizzando la fotografia in modo profondamente originale: a Dalí e a Clemmer non interessa documentare o raccontare realisticamente , la loro idea è di piegare la macchina fotografica a diventare l’equivalente del pennello surrealista, per comporre dei – appunto – “tableaux vivants” nei quali Dalí, abbigliato come Ermete Trismegisto il leggendario maestro di sapienza dell’antica Grecia, officia riti segreti di iniziazione con la bella Genesta, giovane modella portata da Clemmer a Port Lligat, complice perfetta di questa affascinante pantomima artistica.

La collaborazione fra i due diviene amicizia e si protrae nel tempo: Clemmer intuisce le potenzialità filmiche delle performance di Dalí e gli presenta Claude Joudioux, un suo amico regista, con il quale Dalí girerà, nel 1964, il cortometraggio Le divin Dalì, con Clemmer fotografo di scena. Purtroppo il film verrà distrutto poco dopo da un incendio ed è dunque per noi irrimediabilmente perduto, le uniche testimonianze che ne restano sono proprio le foto scattate da Clemmer: dalla Sozzani si possono vedere numerosi provini e una decina di foto relative alla parte centrale del film, dedicata al cannibalismo dell’angelico, costruita attorno a una complessa scena formata da diversi piani di vetro trasparente, sovrapposti gli uni agli altri per rendere l’idea dell’ascensione, mentre gli angeli / donne si divoravano e vomitavano a vicenda, in un ciclo continuo di morte e rinascita.

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Jean Clemmer, Le Divin Dalí, 1964. © Jean Clemmer / Hèléne Clemmer

Un altro splendido ciclo di foto è quello delle “mises en scène” della seconda metà degli anni ’70: le modelle / muse ispiratrici di Dalí divengono davvero strumento nelle sue mani, denudate, velate o celate dietro travestimenti sorprendenti, dialogano con gli ambienti e gli scenari della casa museo di Port Lligat diventando protagoniste di scene surreali e oniriche, sospese in una dimensione misteriosa.

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Jean Clemmer, Tête d’ange, 1967. © Jean Clemmer / Hèléne Clemmer

Ci si potrebbe chiedere, legittimamente, chi è l’autore di queste foto?

La prima risposta, ovvia e scontata, è: Jean Clemmer; ma la fotografia è un’arte e un medium ingannevole e ambiguo e le risposte spesso non sono così semplici. Clemmer è colui che, con abilità tecnica, sensibilità formale e visiva, senso del tempo e dell’inquadratura, scatta queste foto, ma Salvador Dalí è l’ideatore dei costumi, degli scenari, delle pose e storie che le protagoniste delle immagini interpretano, di tutto ciò insomma che si presenta e del modo in cui si presenta e si offre all’obiettivo di Clemmer, ed è dunque, a tutti gli effetti, co-autore di queste immagini, che sono opera d’arte in sé e, al tempo stesso, testimonianza di performance artistiche ideate e dirette da Dalí.

L’ultimo tassello di questa mostra davvero preziosa e intrigante è rappresentato dalle “Metamorphoses” degli anni ’70: qui il ruolo di Jean Clemmer diventa quello dell’assoluto protagonista, grazie alla genialità e alla maestria davvero stupefacenti con le quali proietta il viso di Dalí volta a volta sul corpo nudo delle modelle, sugli scenari di roccia della Costa Brava, sulle pareti dello studio, mescolandone l’immagine con altre foto dell’artista stesso o con gli scenari e cimeli di Port Lligat. È una meditazione su morte e rinascita, un tema che ha sempre ossessionato Dalí: il suo volto si separa dal corpo fisico, diventa pura icona, immagine d’arte presente ovunque, sottratta alla trappola del tempo e alle limitazioni della carne, affidata all’eternità della rappresentazione.

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Jean Clemmer, Metamorphose. Coup d’oeil éternel, 1983. © Jean Clemmer / Hèléne Clemmer