Il loro nome di battaglia è Brigata Viganò, lottano contro l’oblio che ha ricoperto la vita e le opere di una donna combattente, la scrittrice partigiana Renata Viganò, una delle voci più limpide della Resistenza italiana. Sono cinque studentesse dell’Università di Bologna: Dafne Carletti, Sofia Fiore, Margherita Occhilupo, Marta Selleri, Elena Sofia Tarozzi. Cinque amiche ventenni con la passione per la storia e la letteratura che hanno dato vita a un collettivo partendo dal lavoro comune di recupero del racconto breve “La bambola brutta”, piccolo testo che Renata Viganò, autrice del bestseller tradotto in 14 paesi “L’Agnese va a morire”, pubblicava nel 1960 sulla rivista “Il Pioniere”, diretta da Gianni Rodari.
Gli occhi di una bimba raccontano una giornata di Resistenza. Protagonista inconsapevole una bambola che la guerra ha reso vecchia e sbiadita. Il regalo prezioso di un padre alla figlia che aspetta il suo ritorno. Il dono non è però un gioco. Infuria il conflitto bellico, si combatte per la libertà e quel padre è un partigiano. La bambola serve alla madre della bambina per nascondere fogli dattiloscritti e portarli in un luogo sicuro dove i nemici non possano trovarli.
Un’opera smarrita e perduta, ritrovata dal professor Antonio Faeti e da Tiziana Roversi, coordinatrice della Brigata Viganò, pedagogista, bibliotecaria e curatrice di libri per bambini, (madre di Dafne), che ha pensato di coinvolgere questo gruppo di ragazze.
Grazie alla grafica di Mauro Luccarini e alle bellissime illustrazioni di Viola Niccolai, il racconto diventa una graphic novel, albo illustrato completato da una cartina del centro storico di Bologna che mappa i luoghi simbolo della Resistenza e i posti abitati dalla scrittrice. C’è anche una breve biografia di Viganò e un testo in cui le curatrici cercano di far capire ai più piccoli la realtà storica in cui è ambientato il racconto.
Il libro è il punto di partenza del progetto “La bambola brutta. Dedicato a Renata Viganò” che porta queste giovani donne a organizzare convegni, mostre, letture pubbliche e a parlare di Resistenza e antifascismo nelle scuole elementari e medie di Bologna attraverso la voce di una donna, le parole di una scrittrice dimenticata da riscoprire per capire il senso e il corso della Storia.
«Non ho inventato niente. È la mia testimonianza di guerra. La Resistenza l’ho vissuta prima di scriverla. È la ragione per cui rimane per me la cosa più importante nelle azioni della mia vita» diceva Viganó che nel settembre del 1943 seguì, portandosi dietro il figlio Agostino, che aveva solo sette anni, il marito Antonio Merluschi, perseguitato politico, poeta e scrittore, prima in Romagna poi nelle valli di Comacchio. Con il nome di Contessa diventò staffetta partigiana e conobbe la dura vita delle donne della guerra di liberazione.
Ecco perché il racconto di Viganò è così vivido e pregnante. C’è l’essenza, la memoria della scrittrice e di tutte le donne che come lei si erano ritrovate nella medesima situazione. Partigiane, combattenti.
La guerra non era cosa solo per uomini. Le donne portavano messaggi, imbracciavano il fucile, rischiavano la loro vita di continuo. Donne che non avevano paura di niente e volevano cambiare il mondo. Spiavano i movimenti di tedeschi e fascisti, tenevano vivi i collegamenti tra rifugi e città. Senza il contributo femminile, senza quelle operaie, braccianti, contadine di pianura e di montagna, che con coraggio e non senza paura avevano capito quale fosse l’unica via da seguire, l’esercito partigiano avrebbe mancato di una forza viva, necessaria, spesso determinante. Un apporto fondamentale che solo in tempi recenti è stato storicamente riconosciuto. A lungo è stato negato, sottaciuto o ridotto a una partecipazione subalterna. Quando, invece, le donne combattevano in prima linea. Sul campo di battaglia e lotta hanno incominciato in quegli anni a praticare la libertà, a lottare per diritti fondamentali, a costruire le basi di un risveglio, quello del movimento femminile.
«Quando parliamo con i ragazzi e le ragazze delle scuole cerchiamo di fare capire anche questo – spiega la Brigata Viganò – il ruolo delle donne nella guerra di liberazione non è stato inferiore a quello de gli uomini». Perché restituire la versione intera e non parziale del nostro passato aiuta a sviluppare consapevolezza e non solo. È un momento educativo importante che insegna a riconoscere pari valore a uomini e donne.
«Una delle parti più rilevanti del racconto è quando la mamma dice alla bimba che si fida di lei, che conta su di lei. È una lezione preziosa. Bisogna avere fiducia nei bambini e nelle bambine. Utilizzando un linguaggio adatto e appropriato, si possono sensibilizzare nel modo corretto» dicono le ragazze della Brigata che ora stanno cercando un editore per il loro libro perché diventi uno strumento educativo che possa valicare i confini di Bologna e dell’Emilia Romagna e stimoli il dialogo tra genitori e figli. «Vorremmo aiutare a spiegare cosa sia stata la Resistenza. Cosa abbia significato e cosa può insegnare ancora». Un confronto aperto con la storia, maestra di vita e compagna di crescita.