Fides ha regalato il filo della storia ad Arianna. Fides Romanin, classe 1934, è stata la prima italiana portabandiera ai Giochi olimpici, e “taroccarono” un po’ la sua data di nascita perché fosse maggiorenne. Era l’edizione invernale di Oslo 1952. Arianna Fontana, classe 1990, campionessa dello short track, brilla con la sua zazzera biondissima nel tricolore che precede i 121 azzurri protagonisti a PyeongChang 2018.
Da Fides ad Arianna 66 anni: atleti, sogni di gloria, sempre gli stessi, la guerra fredda e il crollo del Muro, i Beatles e il mondo digitale, e la lunga marcia delle donne alla conquista del podio della vita.
Fides Romanin parte da Forni Avoltri, prima che la Alta Val Degano scollini verso Sappada, e arriva ad Oslo per l’Olimpiade invernale del 1952 dopo un lungo periplo: treno, aereo e infine il traghetto da Copenaghen alla Norvegia. Vola che è una meraviglia sugli sci da fondo, è una ragazzona da 1,80 metri, uno di quei fisici bellissimi da Carnia felix, e forse il presidente del Coni, Giulio Onesti le mette in mano la bandiera italiana proprio per questo. Anche se poi la rimprovera: «Davanti al re di Norvegia masticavi il chewing-gum». Cicles o meno, Fides è la prima donna che porta il tricolore ai Giochi. È il 1952, è un’Olimpiade in miniatura, 17 Paesi per 252 atleti in totale, ma con un primato: è la prima edizione aperta da una donna, la principessa Ragnhild di Norvegia.
Prima di Fides, non sono mica in tante ad aver portato la bandiera nazionale ai Giochi: nel 1932, per l’edizione invernale di Lake Placid, il Regno Unito sceglie la pattinatrice Mollie Phillips. Non una vera rivoluzione, anche se Londra la rivoluzione vera l’aveva già varata con il suffragio universale nel 1928: la squadra britannica era formata da quattro atlete, tutte pattinatrici, tutte donne, non c’era scelta. E, sempre nel 1932, anche ai Giochi estivi di Los Angeles sfila un’altra portabandiera, la schermitrice messicana Eugenia Escudero.
Per l’Italia si parte con Fides; nello stesso anno, nell’edizione estiva di Helsinki, il Coni dà il tricolore alla ginnasta Miranda Cicognani. Anche in quell’occasione un make-up al passaporto, questa volta di un paio di mesi per “portare” Miranda ai 16 anni richiesti alle ginnaste: «Quanto pesava quella bandiera e poi, fra la pioggia e l’emozione, temevo di non farcela», ricorda ancora oggi, 81enne, dalla sua casa di Forlì.
È lo sport in bianco e nero, è lo sport che fa i conti con un mondo in divenire, che sogna e fatica. E le donne più che mai, è una salita senza fine, una parete verticale non attrezzata. L’emancipazione passa anche dallo sport: il primo oro olimpico di una italiana è di Ondina Valla nel 1936; la prima medaglia – un bronzo – per lo sci alpino femminile ai Giochi di Giuliana Minuzzo nel 1952 a Oslo. L’Italia si dibatte per diventare adulta: il suffragio universale è del 1946, le prime donne entrano in polizia nel 1960, in magistratura nel 1965, Nilde Iotti diventa presidente della Camera nel 1979, il primo magnifico rettore è del 1992 (Biancamaria Bosco Tedeschini Lalli).
Una lunghissima, faticosa marcia che ha trovato forza nei volti di centinaia di atlete e di luminose portabandiera: Clotilde Fasolis (Grenoble 1968), Sara Simeoni (Los Angeles 1984), Deborah Compagnoni (Lillehammer 1994), Giovanna Trillini (Atlanta 1996), Gerda Weissensteiner (Nagano 1998), Isolde Kostner (Salt Lake City 2002), Carolina Kostner (Torino 2006), Valentina Vezzali (Londra 2012) e Federica Pellegrini (Rio 2016).
In terra di Corea, ora davanti a tutti gli azzurri, sul palcoscenico del mondo c’è Arianna Fontana, alla ricerca dell’oro olimpico che le manca: «Se una cosa a noi donne non sta bene, dobbiamo dirlo. Se qualcuno ci dà fastidio, dobbiamo reagire. E andare avanti, sempre a testa alta. Senza paura». Con quell’equilibrio sottile e perfetto che Arianna esercita sui pattini da quando è bambina, e il tricolore lo vedeva solo sul pennone del municipio.