Non in quello di casa nostra, intendiamoci. Però, mentre da noi si consuma lo psicodramma nazional-popolare di un Mondiale senza Italia, con il corollario di anziani presidenti di Federazione abbarbicati alla loro sedia, in altre latitudini qualcuno esulta e potrebbe insegnarci qualcosa.
Fino a una decina di anni fa, Islanda e calcio, nella stessa frase, non ci potevano stare. Oggi, mentre noi rosichiamo, la Nazionale della minuscola isola del Nord Atlantico si è qualificata per Russia 2018, senza nemmeno dover ricorrere agli spareggi, come sarebbe toccato a noi. E’ la prima nazione di meno di un milione di abitanti (un bel po’ meno, parliamo di un terzo) a riuscirci dal 1930 in poi. Un caso? Un’epica botta di culo, come nel calcio se ne sono già viste (indimenticabile l’Europeo vinto dalla Grecia nel 2004)?
Direi proprio di no. Al limite, dovrebbe essere una serie di colpi di fortuna che neanche Gastone, il cugino di Paperino: l’Islanda attualmente occupa il 19° posto del Ranking Fifa, nel 2016 agli Europei è arrivata fino ai quarti di finale, dopo aver eliminato i “maestri” inglesi…
Quel che è accaduto è che il Governo islandese negli anni 2000 ha pensato di utilizzare lo sport, e in particolare il calcio, come strumento per contrastare alcolismo e tabagismo dilaganti tra i ragazzi. Mica facile, in un Paese dove allora esisteva un unico campo che non congelasse durante i rigidi inverni dell’isola. Bisognava puntare sulla costruzione di impianti indoor, lavorare sulle scuole calcio, investire nella formazione dei tecnici e dei dirigenti… bisognava costruire un movimento. Bisognava indossare occhiali con le lenti rosa, per vedere rosa il futuro.
I risultati? Be’ una nazionale che fino a 10 anni fa veniva ricordata soltanto per aver fatto giocare padre e figlio nella stesso incontro internazionale, va ai mondiali accompagnata dal “Geyser Sound” dei suoi tifosi. E noi ci becchiamo gli sfottò dell’Ikea e l’insopportabile arroganza di Tavecchio.
Si chiama programmazione, caratteristica che noi italiani, che ci vantiamo di essere campioni del mondo del colpo di reni (e in questo probabilmente lo siamo!), fatichiamo ad assimilare e applicare. Quindi, visto che anche l’Islanda gioca con una maglia blu, urliamo convinti “Forza Azzurri”… sperando che ci prestino quei famosi occhiali rosa.