Capita spesso che le imprese anticipino le leggi. È successo con le licenze matrimoniali per le coppie gay e continua (fortunatamente) ad accadere quando si parla di gender gap. Se pur lentamente stanno infatti aumentando le aziende che introducono norme e piani di welfare per aumentare la presenza femminile all’interno delle organizzazioni e favorirne la crescita professionale. Una di queste è Generali Italia. Il gruppo assicurativo già da alcuni anni si è assunto l’impegno di far aumentare i numeri, ancora troppo bassi, delle dipendenti donne che occupano posizioni di vertice. Se infatti nella branch italiana del gruppo quasi la metà (45%) della forza lavoro è donna, solo il 15% ricopre incarichi dirigenziali. Si tratta di numeri più alti della media se si guarda alla maggior parte delle imprese italiane, e tuttavia più bassi rispetto ad altri Paesi in cui il gruppo opera. In Asia per esempio la quota di donne sul totale dei dipendenti è del 60%, e il 36% di loro è una manager. Rimanendo in Europa, nella branch francese del gruppo le donne totali sono il 51% di cui è manager il 31%. Per questo motivo il dipartimento risorse umane di Generali Italia ha deciso, già da alcuni anni, di invertire questa tendenza e di investire ancora di più sulla crescita delle dipendenti donne. Ne abbiamo parlato con Gianluca Perin, direttore risorse umane e organizzazione presso Generali Italia.
Perché nella branch Italia i numeri sono inferiori?
Le policy che applichiamo qui sono le stesse che valgono nel resto del mondo e che altrove, a quanto dimostrano i dati, funzionano meglio. La mia idea è perciò che si tratti non solo di un problema delle aziende ma anche un tema Paese. E che, di conseguenza, si riflette anche sul nostro gruppo. Direi quindi che è un tema culturale oltre che aziendale.
State facendo qualcosa per contrastare questo problema?
Sì, abbiamo già avviato delle iniziative per valorizzare le capacità manageriali femminili. Un esempio è il progetto “Generazione futura” che punta a individuare talenti tra le nostre dipendenti e mettere a loro disposizione un percorso di accelerazione della carriera. Inoltre stiamo lavorando sulle practice che riguardano la selezione del personale.
Avete delle quote di genere?
Non proprio, però quando c’è una selezione sia dall’interno che dal mercato raccomandiamo con forza che almeno un candidato finale sia donna. Questa indicazione, pur non essendo un obbligo, entrerà però a far parte dei nostri indicatori di prestazione (key performance indicator – kpi). In pratica, le valutazioni dei manager saranno legate anche alla capacità di mettere in pratica questa indicazione.
Qual è l’obiettivo di Generali Italia su questo aspetto?
Aspiriamo ad aumentare le quote femminili e io, personalmente, mi auguro che si riesca a raddoppiarle nell’arco dei prossimi tre anni.
Quale altre iniziative avete per favorire la partecipazione al lavoro femminile?
Abbiamo creato degli asili aziendali (a Roma, Mogliano Veneto e Trieste) e, dove non era possibile, abbiamo sottoscritto delle convenzioni per agevolare le dipendenti con figli. Altre due iniziative rivolte alle mamme sono il progetto Back to work e Maam. Il primo è rivolto alle colleghe che rientrano dalla maternità e punta ad aiutarle a recuperare i pezzi della vita aziendale che si sono perse durante il congedo. Maam è invece una piattaforma online per le dipendenti in attesa che le aiuta ad acquisire consapevolezza di tutte le competenze e abilità che si acquisiscono durante la maternità e che possono essere messe a frutto una volta tornate al lavoro.
A quanto ammonta l’abbandono post maternità in Generali Italia?
L’abbandono è pari a zero. Ma dalla survey interna è emerso che dopo la maternità, in alcuni casi, ci sia una sorta di rinuncia alla carriera.
Cosa intende dire?
Mi riferisco per esempio a quello che è emerso sulla scelta del part time dopo la maternità: dalle interviste effettuate, questa scelta di orario è collegata ad una rinuncia, cui facevo cenno prima. Come Risorse umane stiamo riflettendo se questa tipologia contrattuale sia l’unica risposta da dare alla richiesta di maggiore flessibilità.
Il part time viene però chiesto per riuscire a conciliare vita personale e lavoro…
Certamente, ma si tratta di una richiesta che diventa obbligatoria nel momento in cui l’organizzazione del lavoro è pensata su modelli tradizionali. Mi spiego meglio: se continuiamo a valutare i dipendenti sulla base della presenza o dell’assenza è chiaro che non valorizzeremo mai appieno l’apporto delle donne. Se invece introdurremo criteri diversi come il raggiungimento di obiettivi, la capacità di innovare, la capacità di creare consenso nelle decisioni, saremo in grado di valorizzare di più il talento femminile.
Una forma di flessibilità nuova potrebbe essere lo smart working?
Esattamente. Cambiare l’organizzazione del lavoro, introdurre orari flessibili potrebbe aiutare molte colleghe mamme a non trovarsi più di fronte alla scelta obbligata del part-time. Si tratta di un passaggio che abbiamo intenzione di fare nei prossimi mesi: estendere a tutte le donne in part time lo smart working, che per ora abbiamo introdotto con ottimi riscontri a Milano e Roma.
Perché avete deciso di intraprendere queste misure a favore della parità di genere? Qual è l’obiettivo?
È sicuramente un tema di equità ma è anche un tema di business per evitare la perdita di capitale umano e di potenziale per l’azienda.
Quando e perché avete iniziato a occuparvi di welfare?
Il welfare aziendale ha un ruolo fondamentale per Generali Italia e lo ha avuto in modo crescente nel corso del processo di integrazione iniziato nel 2013 che ha coinvolto 3 società e migliaia di persone sul territorio italiano. Crediamo che il welfare aziendale sia un investimento a ritorno positivo e i risultati in termini di engagement che abbiamo ottenuto in questi anni ce lo hanno confermato, ponendoci al di sopra del benchmark di mercato.
In che modo?
Attraverso una survey che inviamo ogni due anni al nostro personale e dalla quale è emerso che il welfare – e soprattutto quello a sostegno della parità di genere – era una necessità per la maggior parte dei dipendenti e delle dipendenti.
Nei mesi scorsi il governo ha potenziato il congedo di paternità. Come stanno andando le cose in Generali? I neo papà richiedono questa misura?
I numeri sono stati piuttosto bassi e credo che la ragione dipenda dal fatto che questa legge non viene percepita come un’opportunità. Forse ci sarebbe stato bisogno di un intervento più incisivo come nei Paesi nordici dove il congedo non è una possibilità ma un obbligo. Ma, senza limitarci alla paternità, devo dire che gli uomini chiedono pochi congedi in generale. Un altro tema caldo e che lo diventerà ancora di più nei prossimi anni con l’invecchiamento della popolazione è quello dei congedi per assistere i genitori anziani. Si tratta di permessi che, ad oggi, chiedono solo le donne e la situazione non sembra destinata a cambiare.