Quanto sono contemporanei i classici? La domanda ricorre periodicamente in contesti familiari o didattici, specialmente a inizio anno, quando aprono le iscrizioni alle superiori. E’ troppo presto per sapere che cosa succederà a gennaio 2018, ma l’interesse per il liceo classico è pressoché stazionario e si assesta, con molti picchi verso il basso e qualche timida ripresa (+0,1% nel 2016, +0,5% nel 2017), a un modesto 6,6% del totale degli studenti.
Pesa certamente, nella scelta, anzi nella non-scelta, la convinzione che, nell’era di web, social e globalizzazione, a due lingue morte come greco e latino, siano da preferire inglese e preparazione tecnico-scientifica. Tuttavia questo dato contrasta con la grancassa di performance artistiche, best seller, serial e sfilate che, proprio negli ultimi tempi, stanno rilanciando miti ed eroi antichi.
Dal set della moda primavera-estate di Gucci fino al successo della mostra veneziana di Damien Hirst, stiamo assistendo a una sorta di escalation classicistica. Con curiose deviazioni dalla fede filologica e gustose metamorfosi, visto che, appena usciti dal recinto delle accademie, Atena e Afrodite, Eros, Logos, l’Olimpo e il Parnaso, prendono forme irriverenti e scenografiche, ridondanti, colossali, disinvoltamente meticce, piene di contaminazioni e tradimenti.
Un’offesa ai puristi o un capolavoro di rivitalizzazione? Giriamo la domanda a Salvatore Settis, storico dell’arte, membro dell’Accademia dei Lincei, per molti anni direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, che per formazione e cultura, è altamente allenato all’esercizio della prospettiva. Un archeologo deve avere un senso del tempo e della concatenazione molto sviluppato, il che è sempre un buon esercizio di relatività.
Senza aspettarci una “difesa d’ufficio” del valore dei classici (e delle materie classiche), fino a che punto è ancora utile, nella contemporaneità, lo studio dell’antica Grecia e dell’antica Roma?
«L’eredità greco romana è così presente nel nostro Paese che si può finire per crederla identitaria. Certo da lì discendiamo, l’italiano è una forma modificata di latino, come lo spagnolo e il francese. Molti monumenti sono ancora presenti e solidi, ma tutto è cambiato centinaia di volte nei secoli. Vedere l’affinità e la distanza, facendo la spola fra l’identico e il dissimile, è una ginnastica della mente che aiuta a guardarci intorno con maggiore rispetto per la diversità, per esempio, delle altre culture».
Qual è dunque l’insegnamento della Storia oggi?
«Un grande storico italiano, Gaetano De Sanctis, spiegava che non è la storia maestra di vita, ma è la vita maestra della storia. Siamo noi, con i nostri occhi, con un punto di vista che evolve e si modifica nel tempo, a interpretarla e farla parlare. Ecco perché le scienze umane cambiano, perché evolvono, come la nostra vita. Oggi leggiamo Virgilio in modo completamente diverso da come lo leggeva Dante, eppure Virgilio è rimasto lo stesso. Dialogare con l’antico significa anche riconoscerne la drammatica alterità».
Da Jeff Koons a Francesco Vezzoli, fino al recente “Treasure from the Wreck of the Unbelievable” di Damien Hirst a Palazzo Grassi. Le piacciono queste rivisitazioni della arte greco-romana da parte dell’arte contemporanea?
«Veramente direi che la mia risposta è irrilevante. Il dialogo fra contemporaneo e antico è necessario. Poi, certo, bisogna vedere come si fa. Ma il gusto cambia, si trasforma: quello che ci piace risponde a una soggettività orientata dalle esperienze che si fanno, dal contesto in cui si cresce. Ci può essere qualcuno che non ama affatto il classico. Poi, vede un’opera o una mostra particolarmente ben fatta e si appassiona. Succede lo stesso con il contemporaneo. Relativizzare i propri gusti, per quanto precisi e definiti siano, come un dato di esperienza e non come un gene o una qualità innata, è indispensabile».
Facciamo un’ipotesi bizzarra ed estrema. Se qualcuno non avesse mai visto neppure una sola opera classica, lei quale sceglierebbe di mostragli?
«Credo che anche un marziano, che capitasse cinque minuti su questa Terra, resterebbe impressionato dal Laocoonte, l’opera d’arte antica più famosa oggi nel mondo, la più citata, la più imitata da pittori, scultori, artisti contemporanei, riprodotta in migliaia di varianti, dall’arte popolare alla satira, dalla poesia ai cartoon».
*L’intervista completa a Salvatore Settis è pubblicata sul numero di settembre di How to Spend it in edicola