Il mio ufficio misura 19 x 28 x 38 centimentri. Ha due bretelle ben salde, un paio di tasche e contiene tutto il necessario per una giornata di lavoro passata tra mezzi pubblici e scrivanie. Urti e salti compresi. Il mio ufficio è uno zaino. Faccio parte del popolo degli “zainocrati”, come li ha definiti Leonardo Previ, docente di Gestione delle risorse umane alla Cattolica di Milano.
È una tribù eterogenea quella degli zainocrati. Previ, che ha presentato il frutto delle sue ricerche in un incontro tenuto da Doxa durante la settimana dedicata al lavoro agile e che presto al fenomeno dedicherà un libro, ad Alley Oop spiega: “non è una categoria anagrafica ma un gruppo che attraversa le età e le esperienze professionali. Ci sono zainocrati giovani che sono più inclini alle sperimentazione e il fatto di stare in condizioni di minore sicurezza non li spaventa e poi ci sono quelli più maturi. Coloro che hanno subito le conseguenze indesiderate dei processi di automazione e, complice una congiuntura economica poco favorevole, sono stati espulsi dalle imprese e dai territori della sicurezza”. Non chiamateli precari però. Gli zainocrati sono lavoratori che cercano di accordare il loro desiderio di indipendenza con le richieste del mondo del lavoro. Spiega il professore: “Si vive un’esperienza professionale diversa quando si considera che la mancanza di certezze ci sta in realtà offrendo la possibilità di imparare tante cose nuove. Parliamo meno di precarietà ma più di costitutiva mancanza di equilibrio. In questo gli zainocrati sono ottimi insegnanti”.
È una condizione che ben si sposa con quella dei Millennials che, si potrebbe dire, sono cresciuti zainocrati. È stato ripetuto loro che “ormai bisogna essere flessibili” combinato al grande classico “il posto fisso di una volta non esiste più” e hanno cercato di trovare il lato positivo della questione: la libertà. L’equilibrio l’hanno trovato in uno zaino: “i giovani di oggi hanno meno voglia delle catene del posto fisso e più voglia di sperimentare, commettere errori e poi imparare” commenta Previ e I dati gli danno ragione.
Secondo una ricerca di Giffoni Big Data l’8,27% degli studenti intervistati ambisce ad un lavoro da dipendente mentre il 52% vorrebbe diventare un libero professionista. A questo si aggiunge il disinteresse per gli status symbol del passato, auto potente e casa di proprietà in primis, e una nuova misura del successo: l’indipendenza. Orari flessibili, inventarsi un lavoro, potere scegliere dove svolgerlo. Come dice Previ: “si è allargata la plausibilità delle professioni possibili. Fino ad una generazione fa lavorare significava inserirsi in una certa continuità; ambire a certi scatti di carriera; immaginare un sempre maggiore potere d’acquisto. Per tanto tempo siamo stati innamorati del mutuo e dell’accumulo di oggetti. Ma sono orizzonti che la crisi ci ha fatto mettete in secondo piano e oggi risultano meno affascinanti. E allora c’è chi ha scelto di perseguire un progetto di vita nel quale si ricerca meno la stabilità e più il cambiamento. Chi cerca la propria felicità in un lavoro che però non garantisce solidità”.
Zainocrati giovani o maturi, c’è qualcosa che li accomuna: l’inclinazione alla meraviglia. “Essere curiosi, non spaventarsi di fronte alle sorprese e essere consapevoli che quando si trova il coraggio di continuare a meravigliarsi si ha la sensazione che la propria vita sia molto intensa”, spiega. E poi ci sono gli oggetti che uno zainocrate porta con sé tutti i giorni nello zaino: gli strumenti di lavoro sono essenziali ma c’è spazio anche per delle piccole sorprese. “La prima considerazione che faccio – dice il professore – é che uno zaino deve essere anche molto vuoto. Nello spirito della zainocrazia deve offrire vuoto a sufficienza per potere ospitare le cose che ci sorprenderanno durante le giornate. Poi ci sono elementi un po’ più insoliti. Io suggerisco sempre di metterci un piccolo metro pieghevole. Quando manca la solidità diventa molto importante cercare misurare ciò che è possibile. La meraviglia, la fiducia nel futuro, la disponibilità ad apprendere sono risorse dello zainocrate ma non si misurano. Il metro portatile invece ricorda a noi stessi che le misurazioni sono importanti. Infine una scatola nera: segno tangibile che noi umani abbiamo delle caratteristiche introvabili. Gli zainocrati fanno scelte che sorprendono. Non massimizzano il loro profitto, sono disposti ad investire in direzioni e professionalità che appaiono contro-intuitive. E lo fanno semplicemente perché sono umani e hanno una scatola nera che talvolta è inaccessibile anche a loro stessi ma che li rende molto affascinanti”.
Più difficile ma pieno di meraviglia il mondo per gli zainocrati. Non senza qualche insidia però. C’è un paradosso a cui soprattutto i giovani devono stare attenti: “non dovrebbero innamorarsi troppo della vita nomade. Gli zainocrati migliori sono coloro che quando la contingenza lo suggerisce appoggiano lo zaino al muro per qualche tempo. La zainocrazia è un modo per affrontare con leggerezza la bellezza del mondo” conclude Previ.