“Ho sempre pensato che io faccio fotografie perché il mondo è lì, non che il mondo è lì perché io ne faccia fotografie”. Questa frase di Ferdinando Scianna (Bagheria 1943), uno dei più grandi fotografi italiani dei nostri giorni, ci apre il sentiero che conduce al cuore delle sue immagini, introducendoci alla mostra Istanti di luoghi presso Forma Meravigli (fino a fine luglio).
Parlare di Scianna in poche parole non è facile: primo italiano chiamato a far parte dell’agenzia Magnum su invito, pensate un po’, di monsieur Cartier-Bresson (nel 1982), esordì nel mondo della fotografia a soli 22 anni, animato da un’impetuosa urgenza espressiva e sostenuto da un robusto retroterra culturale. Il suo primo libro, Feste religiose in Sicilia (1965), univa le potenti immagini in bianco e nero del giovane fotografo ai testi di Leonardo Sciascia e non mancò di suscitare largo dibattito e accese contestazioni.
Il sodalizio e la lunga amicizia con lo scrittore daranno poi origine a vari altri progetti e libri, sovente incentrati sulla terra siciliana, comune oggetto di appassionato amore e non meno acceso odio, in un legame contraddittorio e viscerale impossibile da sciogliere e talvolta arduo da comprendere per chi siciliano non sia.
Il trasferimento a Milano nel 1967, la collaborazione con L’Europeo e il successivo, lungo soggiorno a Parigi come corrispondente per lo stesso settimanale gli aprirono le porte del fotogiornalismo internazionale, consacrato poi dall’ingresso in Magnum. A partire dal 1987 Scianna inizierà a lavorare in ambiti molto diversi da quelli della sua prima formazione di colto e impegnato fotoreporter, dedicandosi alla fotografia di moda, inaugurata da una ormai storica campagna ambientata in Sicilia per gli allora quasi esordienti Dolce & Gabbana con la bellissima Marpessa come protagonista, e a quella di pubblicità, conquistando una celebrità di livello internazionale grazie alla personalissima impronta del suo stile. Il fotoreporter seguace della dottrina dell’istante decisivo cambia così pelle, scopre un altro modo di fotografare, alternativo e anzi eretico se paragonato alla lezione del suo maestro Cartier-Bresson, che insegnava a catturare gli irripetibili momenti di verità come “flagranti delitti” che solo la fotografia sa testimoniare. Scianna resta fedele alla sua “radicata concezione narrativa della fotografia”, ma intuisce che è possibile raccontare costruendo il proprio discorso attraverso la messa in scena di persone, luoghi ed eventi, come fa un regista quando allestisce il set prima di dare il ciak.
Questa insaziabile volontà di raccontare spiega anche perché Scianna sia un “fotografo che scrive” e consideri fotografia e letteratura, immagine e parola consanguinee: allo spazio Meravigli, accanto alla mostra vera e propria, c’è a questo proposito una magnifica sezione “Ritratto di un autore in 16 libri pubblicati (e alcuni mai realizzati)”, che ce ne fa apprezzare la curiosità intellettuale e la varietà di interessi, attraverso alcuni dei più significativi suoi libri, di immagini e di parole, come la famosa raccolta di saggi e riflessioni Obiettivo ambiguo del 2001.
Questa mostra Istanti di luoghi, con le sue 50 fotografie in rigoroso bianco e nero, costruita attingendo a scatti provenienti da epoche, luoghi e progetti disposti attraverso tutta la sua carriera, lascia incantati e sorpresi.
Incantati perché, sia che ci mostri le maestose montagne della Bolivia incoronate da un’aureola di nuvole o un’automobile distrutta ai piedi di uno dei grandi ponti newyorkesi, in un’atmosfera nebbiosa da cui non ci sorprenderemmo di veder spuntare la sigaretta accesa di Humphrey Bogart; i campi coltivati sulle colline marchigiane, i cui solchi sembrano fiumi di energia e di umano lavoro che scorrono attraverso la terra (omaggio e sfida al grande Mario Giacomelli), oppure i misteriosi paesaggi di nebbie, acque e vapori in cui fatichiamo a riconoscere le sponde del lago di Como o lo zigzagare delle anse del Po nel suo delta, il talento visivo e l’intensità dello sguardo di Scianna si impongono con un’evidenza quasi imbarazzante, celebrando un vero trionfo della grande fotografia. Ma questo incanto, se ci interroghiamo sulle sue ragioni profonde, allo stesso tempo ci stupisce, perché queste fotografie sembrano eccentriche rispetto al pur complesso percorso del fotografo: non sono infatti la scoperta di una notizia, la cattura di un volto, il racconto di un avvenimento o la costruzione una scena. Siamo chiamati a dei momenti di contemplazione, ad abbandonarci a spettacoli, per lo più naturali, che ci colpiscono come doni non sollecitati e perciò ancora più stupefacenti; queste immagini compongono una sottile musica di fondo e la selezione del fotografo le fa emergere come liriche, vere poesie alla Leopardi, dove i sentimenti più toccanti sono ottenuti attraverso una grande precisione dello sguardo.
Pensiamo a immagini come la bitta del molo a San Sebastian, investita dalla fragorosa potenza delle onde, in loro balia eppure resistente a quell’urto, a quella dei cani distesi sulla nuda terra prostrati dal caldo e dal torpore dell’Egitto, alla malinconica spiaggia calabrese, quasi deserta e animata solo dai distanti giochi dei bambini. Guardiamo l’incredibile scatto in Val Padana, dove il cielo, per tutta l’estensione verticale dell’immagine, è occupato da stormi di uccelli che vi disegnano le proprie sagome come su una lavagna trasparente: possiamo riconoscere le diverse specie dal modo in cui si dispongono in formazione, dai tratti delle ali e delle zampe, dal modo di volare, ma oltre a ciò percepiamo non solo gli individui, ma l’unità profonda e misteriosa della specie, di fronte alla quale non possiamo non stupirci di come caos e ordine possano andare a braccetto dentro i bordi dell’inquadratura. Il ritmo della natura e i battiti del cuore hanno la loro grammatica; e Scianna ce la fa sentire.
Credito di tutte le foto: © Ferdinando Scianna / MagnumPhotos / Contrasto