“Le storie che ascoltiamo danno forma ai nostri pensieri e rivelano chi ha il potere”.
Lo sottolinea la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie nel TED dal titolo “Il pericolo della storia unica”. Le storie narrano un punto di vista, e il punto di vista che prevale, quello che ascoltiamo più spesso anche senza saperlo, è proprio quello di chi rappresenta la maggioranza e quindi ha più “voce” degli altri. Nel caso della scrittrice nigeriana, viene sottolineato, ad esempio, come gli autori inglesi e americani abbiano influenzato la sua infanzia, narrandole di un mondo che non era il suo, ma era molto più dettagliatamente rappresentato del suo nella letteratura che tanto amava.
Ma le “storie” non sono solo le favole, i libri o ciò che ci intrattiene: anche l’informazione, che narra i fatti e forma le opinioni, è fatta da cantastorie. E rappresenta nettamente alcune voci più di altre. In Italia, su 65 quotidiani recensiti da Datamediahub nel 2015, solo quattro avevano direttrici donne. Chiara Severgnini su La Stampa scrive: “Il 52 per cento degli iscritti alle scuole di giornalismo tra il 2006 e il 2012 è stato di sesso femminile. E nel 2013 i praticanti erano equamente distribuiti tra maschi (53 per cento) e femmine (46 per cento). Il problema sta nei gradini più alti della carriera: solo il 35 per cento dei caporedattori è donna; e al livello dei direttori e dei loro vice la percentuale scende al 23 per cento (dati INPGI sul 2013)”. Le giornaliste predominano in due soli argomenti: scienza e salute (62%) e celebrity, cultura e sport (73%). In tutti gli altri argomenti, sono i colleghi ad avere la meglio.
Da lettrice, mi aveva particolarmente colpita che le pagine centrali dei due quotidiani che leggo ogni giorno, che normalmente ospitano la sezione dedicata ai commenti, alle lettere e alle opinioni, fossero spessissimo a firma di giornalisti uomini. Ho voluto verificare, e per 3 giorni, dal 13 al 15 giugno, ho letto i quattro maggiori quotidiani nazionali.
Ho contato 63 articoli di analisi e di commento (quindi non cronaca), di cui 13 con richiamo in prima. Sil totale, 55 articoli (87%) sono a firma di uomini e solo otto (13%) di donne. Di queste, una è una scrittrice inglese, quattro sono autrici di rubriche fisse. Quindi solo tre articoli di commento e analisi su fatti di cronaca sono stati assegnati a giornaliste donne. Inoltre, i tredici articoli con richiamo in prima pagina sono tutti a firma di uomini. Se poi prendiamo gli editoriali che partono dalla prima pagina le firme maschili sono in netta prevalenza.
Questo vuol dire che chi legge i giornali legge in 9 casi su 10 opinioni, analisi e commenti maschili. Per una lettrice come me, questo vuole anche dire che alle giornaliste non viene riconosciuto uno spessore culturale o un livello di pensiero sufficiente per poter esprimere opinioni e commenti. Visto che proprio in questi giorni a Torino si sta discutendo del futuro dell’editoria, anche l’editoria dovrebbe cominciare a pensare di fare uno sforzo per rappresentare voci diverse.
Gran brutta notizia. Magari merita un editoriale?