Nel giro di pochi anni le donne potrebbero arrivare a controlalre due terzi della ricchezza privata. Almeno negli Stati Uniti e questo grazie a separazioni, divorzi ed eredità soprattutto. Eppure, anche a guardare gli Stati Uniti, paese decisamente più aperto a certe dinamiche, nemmeno un terzo dei consulenti finanziari portano la gonna. Come è noto, nell’industria dei servizi finanziari la diversity è ai minimi livelli: c’è una percentuale notevolmente ridotta tra i consiglieri di minoranza (il 6% è nero, il 7,7% asiatici e il 7,1% sono ispanici) e non molte sono le donne; nel 2016 il 31,6% di tutti i financial planner 2016 erano donne, secondo l’Ufficio delle statistiche del lavoro. Allo stesso tempo, i portafogli femminili e il patrimonio netto stanno crescendo: nel 2020 la ricchezza personale controllata dalle donne negli Stati Uniti, secondo l’Istituto di ricchezza della Banca di Montreal, arriverà a 22 miliardi di dollari.
Insomma c’è un certo squilibrio. E se molte donne non hanno problemi a farsi seguire da consulenti uomini, a volte vorrebbero parlare con qualcuno che ha la stessa loro prospettiva. Per esempio, in genere le vedove o le divorziate tendono a cambiare il consulente che condividevano con il marito e preferiscono passare ad un advisor donna. I consulenti donne si comportano anche in modo diverso con i soldi rispetto alle controparti maschili. I loro livelli di tolleranza al rischio variano, ad esempio, e secondo recenti studi loro livelli inferiori di testosterone influiscono sulle loro abitudini di investimento. Anche il fatto che le donne vivono più a lungo e spesso guadagnano meno degli uomini, influenza la loro gestione del denaro.
L’industria del risparmio gestito, quindi, sta rispondendo a questa maggior domanda “femminile” di consulenza finanziaria, cercando di assumere più consulenti femminili, attraverso borse di studio, programmi per i dipendenti e campagne di sensibilizzazione complessive. Negli Usa il comitato di CFP (The Certified Financial Planner Association), ad esempio, ha lanciato nel mese di aprile la campagna “Io sono una CFP Pro”, che incoraggia i giovani, le donne e le minoranze a ricercare le carriere nella pianificazione finanziaria introducendole a professionisti a cui possono relazionarsi, ha spiegato Marilyn Mohrman-Gillis, direttore esecutivo del Centro per la pianificazione finanziaria. Il Centro ha creato un programma di tutoring che collega i professionisti della pianificazione finanziaria certificata con le donne interessate ad unirsi alla professione (quelle nuove alla forza lavoro e la transizione tra percorsi di carriera). Il centro sta lavorando anche con le scuole per promuovere la carriera di financial planner.
E in Italia? Le percentuali di donne tra i consulenti finanziari sono ancora basse. E se qualche programma di mentor inizia a far capolino, la strada da percorrere è ancora tutta in salita.