A noi juventini non resta che l’autoironia. E spegnere la tv un secondo prima

Quando entra Lemina per Dybala a pochi minuti dalla fischio finale di Juventus – Real Madrid capisco, non mi resta che l’ironia.

Leggero. “Ma dove la metteranno la dodicesima coppa, che non gli sta neanche in bacheca”.

Professionale. “Che discorso ha fatto Allegri alla squadra durante l’intervallo? Spero che qualcuno l’abbia registrato, così lo userò nei corsi di public speaking come esempio negativo. Un po’ come la stategia di Schettino nei corsi di gestione delle crisi.”

Dubbioso. “Ma perché ha giocato il fratello di Dybala? Quello che a freccette è bravissimo, ma col pallone, ecco…”

Affarista. “Agnelli alla fine ha abbracciato Higuain per chiedergli indietro i soldi.” (cit. Fulvio Luna Romero)

Osservatore. “Sul terzo gol, tra Khedira e Bonucci è partita una gara di sguardi intelligenti. Non ha vinto nessuno.” (cit. Enrico Righetti)

Astioso. “Colpa delle altre squadre italiane, quelle dei tifosi gufi, che non sono sparring partner abbastanza allenanti. E comunque se l’Italia ha quattro posti in Champions League è merito della Juve, che le altre non vanno oltre la fase a gironi” (cit. Andrea Toso)

Alcolico. “Mi verso un whisky torbato scozzese, alla faccia dello stadio gallese maledetto.”

E quest’ultimo pensiero, e il whisky, mi fanno tornare in mente gli altri stadi maledetti. E alle insopportabili mèches di Cristiano (come l’ha chiamato Sandro Piccinini per tutta la telecronaca, omettendo il cognome, andranno a cena una sera sì e l’altra pure) si sovrappone il piedone amburghese di Magath che spezzò il mio sogno di bambino, quello dell’invincibilità della Juve di Zoff Gentile Cabrini Scirea Tardelli Rossi campioni del mondo con in più Platini e Boniek; poi dal Trap si passa a Lippi e da campioni in carica ci apprestiamo ad asfaltare un Borussia Dortmund farcito di scarti del nostro campionato, e proprio uno di questi, Kalle Riedle, ce ne fa due prima che l’oscuro Ricken chiuda i conti con un tiro assurdo dopo il tacco di Del Piero; l’anno dopo tocca al più brutto Real Madrid della storia giustiziarci con un gol in fuorigioco di Mijatovic e non ho nemmeno il coraggio di incazzarmi; poi la più cocente, mentre la Juve gioca a Manchester il derby con il Milan, io sono a San Siro a vedere Buffon superarsi ma cedere allo sguardo di ghiaccio di Sheva, e a me toccano i caroselli tutta la notte; e arriviamo al 2015, in finale con speranze zero, e cediamo al Barcellona di Messi, Neymar e Suarez, mettendoci però tutto l’orgoglio del mondo.

E poi stasera, 3 giugno 2017 (perché la prima, quella contro l’Ajax di Crujiff mi fu risparmiata per ragioni anagrafiche). Quando l’arbitro fischierà, tra un secondo, avremo raggiunto il nostro “triplete” (si ride per non piangere), perdendo la settima finale su nove. Non ho voglia di vedere la coppa con le grandi orecchie sollevata per l’ennesima volta da mani che non sono juventine. E le ennesime lacrime dei giocatori che se le avessero raccolte tutte si potrebbe irrigare lo Juventus Stadium per un paio di stagioni.

Spengo la tv un secondo prima della fine. Io l’anno prossimo non ci voglio arrivare in finale, ecco.

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