L’hanno definita un’instapoet: una poetessa di Instagram. E in effetti Rupi Kaur, 25 anni, è diventata famosa, come altri autori della sua generazione, dopo aver condiviso i suoi versi sui social media. Ma Rupi è riuscita a uscire dai confini del virtuale e arrivare anche sulla carta e soprattutto nel cuore di milioni di persone che hanno comprato il suo libro – intitolato Milk and Honey – mantenendolo ai vertici della classifica del New York Times per nove mesi.
Il motivo? Parole capaci di toccare le corde più intime e profonde dell’animo umano. Soprattutto quello femminile. Le sue poesie parlano, infatti, dell’amore, della perdita, del trauma, della guarigione, della femminilità. Ma anche della violenza (fisica e psicologica), delle disuguaglianze di genere e delle persone migranti che faticano a integrarsi e a sentirsi a casa quando arrivano in un Paese e in una cultura diversa dalla loro, come è accaduto anche a lei.
Rupi Kaur è nata a Punjab, in India, ma quando aveva quattro anni la sua famiglia ha deciso di lasciare il Paese d’origine e trasferirsi a Toronto, in Canada. “Penso che la mia voglia di esprimermi, di scrivere – racconta – nasca dal fatto che quando sono arrivata in Canada non riuscivo a parlare inglese. I compagni di scuola mi parlavano ma io non capivo quello che mi dicevano e così mi chiudevo in me stessa e mi isolavo. A un certo punto penso di aver deciso di recuperare il tempo perduto e scrivere tutto quello che mi ero tenuta dentro”.
Ti definisci spesso “una femminista”. Che cosa significa per te?
Sì, io mi definisco una femminista, ma più precisamente un’“intersectional feminist”. E ciò significa che il mio femminismo abbraccia e interseca tutte le minoranze e tutte le discriminazioni che una persona può subire in relazione alla sua religione, alla sua fede, al sesso, al livello sociale, al genere e anche al colore.
Secondo te la tua generazione vive la femminilità in un modo più o meno consapevole rispetto alle generazioni precedenti?
Io penso che le donne delle generazioni precedenti siano state estremamente forti e coraggiose ad abbracciare certi ideali e ad avere il coraggio di parlare di femminismo e della loro femminilità. Chi si dichiarava femminista 20 anni fa veniva vista come una persona aggressiva, nemica degli uomini. La mia generazione invece ha il grande vantaggio di poter utilizzare i social media che rendono il dibattito decisamente più aperto e inclusivo e dare così un nuovo significato e una nuova dimensione a certi concetti e ideali.
A proposito di social network. Pensi davvero che siano così women friendly? Non lo sono stati nel caso della tua foto sul ciclo mestruale (che faceva parte di un progetto contro la misoginia ndr)…
È vero e la cosa mi ha irritato parecchio. Vivere in un mondo, in una società che potremmo definire dell’immagine sposta i confini e rende, allo stesso tempo, certe cose più facili e più complicate. È stato più facile, per esempio, affermarmi come poetessa attraverso i social. Mentre rimane difficile trasmettere un’immagine del corpo femminile che sia lontana degli stereotipi a cui la nostra società – e di conseguenza anche i social network che ne sono l’espressione – è ancora legata. Bisogna però ricordare che non sono i social network ad essere misogini ma la società che li crea.
Ti sei mai sentita discriminata in quanto donna, immigrata e di colore?
Sì, assolutamente e non in un solo momento della mia vita. Penso al modo in cui le persone ti trattano quando vuoi partecipare a un’attività o intraprendere un lavoro e ti senti dire che “non è adatto a te perché sei una ragazza”. Ma penso anche a quando sono arrivata in Canada. Avevo un colore diverso, parlavo un’altra lingua e l’unica cosa che mi chiedevano era che lavoro facesse mio padre. È difficile per me fare un singolo esempio perché la discriminazione riguarda la vita di tutti i giorni.
Secondo te le donne della tua generazione vivono dei tabù, per esempio riguardo al loro corpo?
Penso che oggi, più che in passato, ci sia una grande pressione sociale riguardo all’aspetto fisico che noi ragazze dovremmo avere. Ci viene imposto un determinato ideale di bellezza e un determinato stile a cui tutte dovremmo adeguarci. Ma la cosa peggiore, secondo me, è che questa continua rincorsa non finisce mai. È come un circolo vizioso da cui non si esce più.
Nelle tue poesie spesso parli di rispetto verso se stesse e di autostima. Perché?
La società in cui viviamo, secondo me, non aiuta l’autostima. L’idea dominante è che quello che siamo, le doti che abbiamo non sono sufficienti a realizzare i nostri sogni. Al contrario il messaggio che voglio trasmettere è che tutto quello di cui abbiamo bisogno è dentro di noi. Io ho tutto il potere di cui ho bisogno per realizzare i miei sogni e lo ricordo a me stessa – e alle altre donne – con le poesie.