Il 24 giugno 2016 ho inventato un gioco a cui continuo a giocare da allora. Praticamente ogni volta che incontro un gruppo di persone per parlare di temi come leadership e cambiamento, futuro del lavoro e della politica, futuro dell’Europa e della democrazia, domando: “Chi ha meno di 35 anni, per favore alzi la mano.”
In occasioni fortunate, più o meno metà della stanza prende la forma di braccia tese. Poi continuo: “Se siete impegnati in attività politiche o iniziative civiche – o pianificate di farlo – tenete la mano alzata, per favore. Il resto può metterla giù, grazie.” A questo punto, un pubblico generalmente arrossito ritira le mani, con poche eccezioni.
Ho giocato a questo gioco con centinaia di persone, così come con gruppi di una ventina, dal palco del World Economic Forum alle classi del liceo. Il numero di giocatori cambia, ma i risultati no: nella mia esperienza, più o meno una persona su 10 tiene la mano alzata. Eppure, quasi tutti – che abbiano alzato la mano o meno – hanno fame di cambiamento e sono insoddisfatti di come stanno le cose.
Il gioco è iniziato all’indomani dei risultati del referendum del Regno Unito che ha sancito la Brexit – un risultato che la mia generazione di Millennials non desiderava. Quel giorno, molti di noi hanno realizzato che il cambiamento non si ottiene con un click; che l’atto di votare ha più impatto della democrazia in pigiama sui social. Forse, abituati alla confortevole immediatezza di Amazon, troppi di noi si sono dimessi dal loro ruolo di cittadini. Forse ci aspettavamo che il cambiamento ci fosse spedito nella stessa maniera. Sfortunatamente, la democrazia non è e-commerce.
Il paradosso è che questa mancanza di partecipazione è cresciuta di pari passo con la sfiducia non solo nelle istituzioni e nei governi, ma nella democrazia stessa. Nella maggior parte delle democrazie occidentali, l’affluenza alle urne vive una lunga fase di declino. Il fenomeno è particolarmente acuto tra i giovani, che si sono convinti di essere sorpresi all’alba del voto pro-Brexit e di altri recenti risultati elettorali. La conseguenza sembra essere più cinismo e meno fiducia nella democrazia da parte dei giovani.
Il cane si sta mordendo la coda. A lungo andare, questo cinico circolo vizioso può causare una bancarotta democratica. Oggi, la sfiducia nei politici scoraggia la partecipazione. Così, alcuni gruppi finiscono per essere poco rappresentati. Di conseguenza gli stessi individui perdono ancora più fiducia nelle istituzioni e nei politici, diventando ancora più riluttanti alla partecipazione. Nel frattempo ci continuiamo chiedere: dov’è il leader che ci salverà?
Allo stesso tempo, molti di coloro che non si presentano alle urne si ritirano in un mondo online dove le discussioni democratiche sono sopraffatte da radicale sordità. La (falsa) percezione di avere la verità a portata di un click, e la possibilità di esprimerla con la stessa facilità, ci concentra sull’ottenere retweet invece che rispetto, like piuttosto che ascolto. Quindi, ci chiudiamo in bolle di conformismo, perdendo la capacità di distinguere fatti e finzione: 8 liceali su 10 negli Stati Uniti non sanno riconoscere fake news. Ci ritiriamo dalla cittadinanza e diventiamo meno competenti nell’esercitarla in un mondo che diventa sempre più complesso.
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Ultimamente, ho modifcato leggermente il mio gioco: non chiedo più solo agli under 35 di partecipare. Quindi: “Se sei un cittadino, per favore alza la mano.” I risultati cambiano solo marginalmente, così come ciò che non apprezziamo dello status quo, fino a quando non ci impegneremo a cambiarlo.
Oggi, però, ci sono segni che il vento sta cambiando. Il sentimento di resistenza e creatività progressista emerso dopo i risultati elettorali indesiderati del 2016 rivela un appetito senza precedenti per il cambiamento costruttivo. Il 21 gennaio scorso le donne di Washington hanno fatto marciare il mondo. Ora stanno trasformando quell’episodio in una piattaforma per diritti ed eguaglianza. Il 15 marzo, il popolo olandese ha invertito il declino partecipativo e opposto i tentativi elettorali di populisti radicali dalle idee divisive, così come aveva fatto l’Austria a dicembre 2016. Il 25 marzo, in occasione dell’anniversario dei Trattati di Roma, un coro di voci marcianti da Roma a Varsavia a Londra ha mostrato che i cittadini europei esistono e che sono individualmente più forti perché collettivamente uniti. Il 7 maggio 2017, i francesi hanno eletto il più giovane presidente della loro storia, affermando chiaramente valori di apertura e tolleranza; affermando un’identità francese ed europea, che fa della diversità un tratto distintivo; scegliendo la protezione e il progresso invece del protezionismo.
I cittadini-imprenditori sono alla riscossa. La maggioranza dei giovani belgi si dichiara pronta a unirsi ad un movimento democratico. La buona notizia è che non ci sono mai state così tante opportunità per attivarsi e abbiamo più strumenti che mai per crearle. L’imprenditorialità civica è più che marciare: significa trasformare azioni collettive in progetti specifici. L’imprenditorialità civica è lo sviluppatore che raduna la sua comunità per trovare soluzioni tecnologiche per integrare i rifugiati. È la comunità che partecipa nel definire il bilancio comunale, portando l’esperienza del quotidiano nel disegno di leggi e servizi pubblici. Sono i cittadini che cominciano petizioni per mantenere l’acqua un bene pubblico o le università aperte.
Nel 21esimo secolo, leadership è sinonimo di cittadinanza. Certamente, partiti e istituzioni possono – e devono – diventare più accessibili. Il successo di EnMarche! lo dimostra. Oggi la politica va oltre l’appartenenza ad un partito. Oggi la politica può essere un atto di imprenditorialità civica. Questa è la mia chiamata ai cittadini-imprenditori. Chi terrà la mano alzata?
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Quest’articolo è pubblicat in versione inglese su LINC Magazine.
Le opinioni espresse sono unicamente quelle dell’autore.