Esistono nuove configurazioni famigliari, i numeri ne danno chiara evidenza. L’Istat nel 2011 contava oltre 2,5 milioni di nuclei familiari monogenitoriali su un totale di circa 16,5 milioni di famiglie in Italia. Sono genitori single, come usa dire ultimamente. Single per davvero, oppure colpiti dalla perdita del coniuge o del compagno, oppure separati o divorziati. Il numero di queste famiglie è notevole, in crescita costante, ma ancora minoritario, culturalmente minoritario.
Molte di queste famiglie sono poco inserite in un contesto di relazione, perché le soluzioni miste – famiglie bigenitoriali e monogenitoriali – hanno funzionamenti spesso precari. I figli delle famiglie “tradizionali” fanno domande e le risposte sono sempre scomode e difficili da dare. Vai a spiegare che le famiglie possono finire, che i genitori possono morire. Oltre a questo, le famiglie monogenitoriali talvolta sono caratterizzate da una conflittualità cronica fra quelli che prima erano compagni di vita.
Insomma, non sempre un genitore single viene considerato l’ospite perfetto la domenica a tavola, quando le famiglie “tradizionali” fanno i pranzi fuori porta, e neanche il compagno ideale per una vacanza con in bambini. Certo la produzione culturale per l’infanzia non aiuta a introdurre pluralità di forme famigliari nell’immaginario dei più piccoli e le istituzioni preposte non sanno costruire percorsi di conciliazione, ma la questione rimane sempre e principalmente un affare di famiglia. Le famiglie monogenitoriali infatti non hanno ancora saputo costruire, individualmente e collettivamente, un galateo e un mondo di riferimento. Anzi, se osservate attraverso le loro tracce virtuali sui social network, paiono molto più impegnate a fare la guerra che a costruire la pace.
Già ho scritto della mia idiosincrasia rispetto alle associazioni dei padri separati, per i loro toni che passano dal vittimismo all’invettiva senza soluzione di continuità. Aggiungo ora altrettanto fastidio per le ambasciatrici de “l’importante è che ci sia la mamma”, non poche in Rete e neanche nei bar e alle fermate del tram. Due realtà però mi hanno sorpreso piacevolmente, Gengle e 2houses. Sono app, hanno obiettivi commerciali e di profitto entrambe, ma sono segnali, a mio avviso, di una cultura positiva.
Gengle punta a costruire una rete virtuale e concreta di genitori single, per il dialogo fra soggetti che condividono gli stessi problemi e per far nascere nuove solidarietà e amicizie. Non stiamo parlando di un Tinder per separati con figli, bensì di un luogo dove, per esemplificare, due padri separati posso pianificare le loro vacanze estive con i figli. 2houses invece si propone come una app collaborativa per sviluppare la bigenitorialità attraverso la condivisone privata, fra genitori, di tutto quello che riguarda i figli: impegni, compiti, numeri di telefono di allenatori e pediatra, spese in comune e quant’altro. La scommessa è che questa “sterilizzazione” dei rapporti fra ex rieduchi alla condivisione, depotenziando la conflittualità.
Esistono decine di app assimilabili, altrove nel mondo e in altre lingue, e certo la tecnologia non è una panacea, ma queste due startup hanno il merito di aver letto una domanda sempre più presente nella nostra società e di voler rappresentare una cultura solidale e di conciliazione, perché insegnare la gentilezza ai nostri figli è la migliore eredità che potremo lasciare a loro e al mondo.