”Don’t call me gay”: Stefano Gabbana e la visione privata dell’omosessualità

img_2479Don’t call me gay please. I’m a Man”. Così Stefano Gabbana ha risposto su instagram ad un commentatore che sostanzialmente gli rinfacciava come uno stilista gay, appunto, potesse vantarsi che Melania Trump (first lady, moglie del neoeletto presidente USA, ostracizzato dal fashion system per le sue posizioni omofobiche e razziste) indossasse un suo abito. L’entusiasmo “italiano” per la first lady ha fatto non poco rumore, tanto che Gabbana stesso ha dovuto precisare in un’intervista successiva che “rispetto tutti, ma questo non significa avere le stesse idee”.

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Questione Trump a parte, quello che però più ha colpito la comunità lgbt, italiana ed estera, è proprio quel “don’t call me gay”. A ben vedere, questa affermazione non fa altro che aggiungersi ad una lunga lista di dichiarazioni che negli anni i due stilisti hanno rilasciato, altrettanto d’effetto e altrettanto in controtendenza a quelle che sono le rivendicazioni del movimento. Dichiarazioni che hanno fatto guadagnare ad entrambi la fama di “stilisti di destra”, giusto o no che sia, vero o no che sia. Ma stavolta c’è forse in questa affermazione qualcosa in più, qualcosa che può aiutare a spiegare anche tutte le altre, insieme ad una parte della cultura e della storia di questo Paese.

Segue Gabbana sempre nello stesso commento “Who I love it’s my private life”. Chi amo riguarda la mia vita privata. Chi amo inteso come genere (uomo o donna), non come persona specifica. Quindi, non chiamarmi gay, per piacere, sono un uomo (riferendosi alla categoria generale che precede qualunque specificazione). E perchè non devi chiamarmi gay? Perchè se amo un uomo o una donna, appartiene alla mia vita privata, non pubblica. Quindi io rifiuto il ruolo pubblico della mia omosessualità. Io rifiuto la categoria gay non in relazione ai mie gusti sessuali, io rifiuto la categoria gay come categoria politica che mi vorrebbe schierato a favore di posizioni collettive che sostengono e sosterranno la causa dei diritti degli omosessuali. Anche (e soprattutto) se si tratta di elogiare la first lady di un presidente non proprio dalla parte dei diritti LGBT.

Forse Gabbana non lo sa, ma questa posizione, quella che l’omosessualità debba riguardare la sfera privata della vita di una persona, e non quella pubblica, è quella che storicamente appartiene al conservatorismo e alla destra cattolica, italiana e non solo. Quella che vorrebbe relegare gli omosessuali ad un mero “problema” di camera da letto, e che nel nostro Paese ha generato l’incredibile ritardo nella conquista dei diritti. In realtà, l’orientamento sessuale di una persona non è privato, ma pubblico, sempre. E’ così per gli eterosessuali, ovviamente, altrimenti nessuno si lancerebbe in approcci con persone che non conosce, ma di cui presuppone l’orientamento. E’ così per gli omosessuali che vengono spesso intesi e interpretati come eterosessuali, salvo poi specificare loro stessi il contrario con azioni o parole.

L’orientamento sessuale di una persona, verso quale genere (maschile o femminile) rivolgiamo il nostro desiderio, è pubblico dunque, anche quando viene solo presupposto. Ciò che è privato è ben altro: è l’attività sessuale specifica, e con chi la esercitiamo (compagno/a, marito/moglie, o altro). Quando l’orientamento sessuale diventa privato anche dissimulandolo? Quando una persona teme discriminazione o conseguenze sgradite per ciò che è. Non c’è altra ragione. E quando si afferma che l’omosessualità riguarda la camera da letto e non la vita pubblica di una persona (identificando attività sessuale con orientamento sessuale)? quando si vuole neutralizzare la rivendicazione dei diritti, relegando l’orientamento al mero piacere sessuale, per non porlo al centro delle aspirazioni, scelte, disposizioni e sentimenti della vita di una persona, così come invece è per tutti.

Tornando a Gabbana, certo non si può pensare che lui tema discriminazioni di alcun tipo. Oltre ad essere dichiaratamente omosessuale da molto tempo, ha abbastanza fama, successo e potere per essere libero da ogni condizionamento di sorta. Eppure c’è in quella visione “privata” dell’essere gay, la radice delle sue opinioni spesso non in linea con le rivendicazioni politiche lgbt. E c’è anche, in quel “privato”, il motivo per cui, insieme a Dolce, è stato spesso portato come esempio di omosessuale modello, proprio da esponenti della nostra destra politica. Un gay che non rivendica, che non batte i pugni, che non lotta per i propri diritti. Un gay che fa la sua vita senza chiedere di cambiare le regole pubbliche, e che contribuisce alla società senza chiedere nulla in cambio riguardo la sua omosessualità.

Sia ben chiaro, ognuno ha il diritto di scegliere se lottare e rivendicare oppure no. E se farlo in quale forma, misura e impegno. Ma una cosa a Gabbana varrebbe la pena di ricordare. Quella frase, “Who I love it’s my private life”, scritta istintivamente in quel commento, racchiude qualcosa di più grosso, che forse nemmeno lui immagina. Racchiude quella visione dell’omosessualità privata, così fortemente italica, che ha radici nella cultura cattolico-fascista che ha ingiustamente discriminato per decenni i tanti cittadini omosessuali di questo Paese. La visione privata contro cui in tutti questi anni, chi invece ha fatto dell’essere gay una categoria politica di rivendicazione pubblica per sè e per gli altri, ha combattuto. Ed è esattamente contro questa visione che, fortunatamente, si è cominciato anche a vincere. Lottando in tanti, come semplici cittadini, anche per tutti quelli che semplici cittadini non sono, ma che hanno scelto di non dare una mano.