Tre ragazze con giacche dai colori fluorescenti, pantaloncini e top così succinti da mettere in evidenza le loro forme, si scatenano in una danza “acrobatica” sulle note di una musica assordante intorno a dei tamburi. E i visitatori, quasi esclusivamente di sesso maschile, accorrono con i loro smartphone per riprendere il momento.
La scena si svolge allo Smau, un evento dedicato ai professionisti e alle imprese dei settori innovazione e digitale, che si è svolto a Milano dal 25 al 27 ottobre. Io sono qui, come espositrice, per vivere tre giorni all’insegna dell’innovazione e delle opportunità di business. Eppure la mia attenzione viene, più volte, catturata da altro.
Sì perché la scena si ripete a intervalli di circa due ore. E il risultato è sempre lo stesso: gli uomini sorridono, apprezzano con entusiasmo, e al termine della musica ritornano soddisfatti nelle loro vesti di visitatori di una fiera.
Mi domando: tu, espositore, che hai selezionato queste tre ragazze, cosa hai ottenuto? Era proprio necessario strumentalizzare il corpo di queste ragazze per attirare l’attenzione al tuo stand? Il tuo ego maschilista è stato soddisfatto a sufficienza? E poi mi viene una frase pronunciata qualche anno fa.
«Qui la donna è considerata a tutti gli effetti un essere inferiore: viene delegata a incarichi d’importanza minima, come per esempio informare dei programmi della giornata; ed è costretta a farlo in modo mostruoso, cioè con femminilità. Ne risulta una specie di puttana che lancia al pubblico sorrisi di imbarazzante complicità e fa laidi occhietti. Oppure viene adoperata ancillarmente come “valletta”». Così Pier Paolo Pasolini descriveva la donna in tv, durante un’intervista del 1972 al settimanale L’Espresso.
Da allora sono passati 44 anni ma il corpo delle donne continua ad essere strumentalizzato per coinvolgere e attirare l’attenzione del genere maschile. Non sono maschilista, né femminista, ma sono stanca di questi stereotipi e mi ribello a una cultura dove le donne vengono “utilizzate” consapevolmente come oggetto spersonalizzato per influenzare il contesto di riferimento e inviare messaggi commerciali.
Lo abbiamo visto per anni al Motorshow di Bologna, o al Salone dell’auto di Ginevra, dove però nel 2011 Sandrine Salerno, sindaca della città, commentò così: «Non capisco questo mito delle hostess che dovrebbero adescare i visitatori. Bisogna per forza essere uomini di Neanderthal che hanno bisogno di vedere della carne, per essere interessati a una macchina?».
Eppure le reazioni indignate non sono bastate a cambiare una cultura così radicata come quella sessista delle fiere di settore. Risale al 2014, ad esempio, un annuncio per la fiera di tecnologia alimentare Cibus tech di Parma che recitava così: «Se non avete una quarta di reggiseno, evitate di inviare il cv». Per quanto tempo ancora si chiederà alla donna di mostrarsi in maniera seducente per essere messa momentaneamente in vetrina solo al mero scopo pubblicitario?