C’è un Paese dove non c’è alcuna legge per le quote rosa. Eppure, è un Paese dove il leader del partito del giorno è una donna. Ed è un Paese dove le donne sono praticamente la metà dei membri del parlamento. Questo Paese è l’Islanda.
Dopo le elezioni dello scorso fine settimana, la piccola isola alla deriva nel Mare Artico è diventata il Paese più equo al mondo: su 63 parlamentari, da domenica 30 sono donne. Vale a dire il 48%: nemmeno la “solita” Svezia, con il suo 44%, riesce a fare meglio. L’Italia? Con le ultime elezioni ha fatto un balzo, ma si è comunque fermata a quota 30%. In Europa, vale l’11esimo posto, meno della Spagna (43%) e della Germania (36%) ma meglio della Francia (26%) e del Regno Unito (29%). Mentre gli Stati Uniti sono fermi addirittura a quota 20%.
Nel Paese delle pari opportunità parlamentari, la regina del giorno si chiama Birgitta Jónsdóttir, non ha ancora cinquant’anni ed è il capitano del Partito dei Pirati, un po’ anarchico è un po’ nerd, nato dopo il default islandese del 2008 con l’idea di costruire un nuovo modello per l’Islanda. Ma è solo una, delle 30 donne al parlamento di Reykjavik.
Oltre a essere il Paese con più parlamentari donna al mondo, l’Islanda è anche il Paese al primo posto dell’edizione 2016 del Global Gender Gap Index appena dato alle stampe, l’indice che misura la distanza fra uomini e donne nei vari campi della vita economica, politica e sociale. A Reykjavík il congedo per maternità è perfettamente diviso a metà: tre mesi obbligatori per le mamme, tre mesi obbligatori per i papà; più altri tre mesi da dividersi come meglio si crede. Il partito no dà loro posti di rilievo? Lo lasciano.
Qual è il segreto della piccola Islanda? Non certo la sua legge per le pari opportunità nella politica, dato che ne è sprovvista. Persino il Rwanda, la Bolivia e Cuba hanno le quote rosa. Eppure, chi valorizza meglio le donne è un Paese senza. Servono allora, o no, le quote rosa? Piaccia oppure no, le signore di Reykjavik riaprono il dibattito.