Di chi sono i figli? De Gregori cantava è del mondo che sono figli, eppure la maggior parte di noi direbbe che sono dei genitori; altri direbbero che non sono di nessuno, affidati alla cura dei genitori fino a quando non saranno in grado di scrivere da soli le pagine della loro vita. L’avvocato che mi ha seguito ai tempi della separazione mi diceva che “l’orientamento nettamente prevalente, quasi unanime, fino ai tre anni di vita è che il minore debba essere domiciliato presso la figura di accudimento, il caregiver” e io capivo “la caregiver” e che i figli sono dei genitori o di nessuno fino a che non si deve fare un scelta, poi sono della madre.
Nei fatti il tempo mi ha dato torto, per fortuna l’altrui ragionevolezza mi ha smentito e posso fare il padre, oltre a essere padre, ma questa è un’altra storia. La mia e quella di altri, separati o no, tutti padri che contribuiscono a ingrassare la media statistica delle ore spese con i figli. Leggevo nei giorni scorsi, che per i papà il tempo si è quadruplicato negli ultimi cinquant’anni. Duplicato quello delle mamme. Vincono comunque le madri con 104 minuti al giorno, i padri toccano quota 59, ma nel 1965 erano a 16 minuti al giorno, quindi bravi, c’è spazio di miglioramento. A rovinare la festa, una sentenza della Cassazione che ha cominciato a circolare da poco, la 18087 del 14/09/2016.
Il fatto in breve. Due genitori separati e un figlio, regime di affido condiviso con domicilio prevalente presso la madre. La più consueta delle situazioni. La madre per lavoro si trasferisce, il padre che perde la frequentazione del figlio si oppone. La Cassazione decide che il padre se ne deve fare una ragione, applicando la dottrina della maternal preference. Non voglio e non so addentrami in commentari legali. Immagino che il diritto di trasferimento sia sacrosanto, esattamente come la necessità per i figli di non crescere distanti dai genitori. Credevo che dovesse sempre prevalere l’interesse del minore e pensavo che queesto fosse la prossimità di cura di entrambi i genitori. La Cassazione mi ha mandato a dire che non avevo capito nulla. L’interesse dei figli è quello di abitare con la mamma. Perché i figli sono delle madri.
Se questa sentenza mi addolora come uomo, prima che come padre, giustamente non interessa a nessuno. Eppure sono convinto che una riflessione collettiva sia doverosa perché sentenze di questo tipo se sono contro gli uomini, sicuramente non sono a favore delle donne, volendo tralasciare i bambini. La maternal preference sancisce una differenza così profonda fra genitori, basata sul genere, che può solo continuare a legittimare la sperequazione, nella vita pubblica e lavorativa. Gli uomini sono per sè, le donne per i figli. E’ questo il principio che vogliamo riaffermare?