Quando un genitore iscrive il proprio figlio ad un’attività sportiva, di fatto lo mette nelle (si spera) sapienti mani di un allenatore che rappresenta una sorta di alter ego di mamma e papà. Il genitore nutre pertanto la speranza che l’azione educativa, perpetrata tra le mura domestiche, continui anche in palestra o sui campi da gioco. Insomma va bene che la schiacciata sia imprendibile e il tiro imparabile, purchè anche valori e regole continuino a scontrarsi con la corteccia celebrale del figlio non sarebbe male.
Già ho scritto quanti valori potenzialmente si possono imparare facendo parte di una squadra. Chi li trasmette è l’allenatore attraverso la sua autorevolezza, il suo non privilegiare il singolo (anche se forte) ma il collettivo, la sua capacità di guida.
In assenza di un metodo il gruppo rimane solo un insieme di individui e non diventa una squadra, si regola secondo abitudine o improvvisazione o peggio ancora imposizione (autoritarismo non autorevolezza). Il “metodo” e l’autorevolezza di un allenatore determinano il clima, il sentimento di identità, la collaborazione e la comunicazione di una squadra…. ossia il “successo” e non parlo solo di risultati sportivi ovviamente.
Se tutto questo accade il genitore sarà felice, perchè il proprio figlio avrà imparato non solo uno sport, ma anche un modo di stare in mezzo agli altri, un’attitudine positiva verso le regole e quel bel valore che si chiama ‘rispetto’. Quel rispetto che poi può continuare anche fuori dal campo verso il genitore, l’insegnante, il collega, il marito e la moglie del futuro.
Quindi un plauso a quei bravi allenatori che oltre a pensare a chi mettere in campo strategicamente per vincere, pensano anche a chi ‘mettere al tappeto’ se non rispetta le regole, se, anche con talento, pecca in educazione. Se poi l’allenatore ha visibilità, la sua responsabilità non finirà in campo ma arriverà anche al di là del televisore. Proprio per questo giovedì sera quando durante la partita contro la nazionale spagnola di calcio ho visto il gesto non rispettoso di Pellè nei confronti del suo allenatore, ho pensato che forse da bambino gli è mancata quella figura che ho descritto. Quando, però, il giorno successivo ho letto la nota della FiGC, ho pensato che finalmente lo ha trovato: Gianpiero Ventura si merita proprio il premio di ALLEY-NATORE della settimana.