In questi giorni, in tutta Italia, stanno riaprendo le scuole e, a conti fatti, è una grande felicità per tutti. Per i genitori che finalmente saranno sgravati dall’impegno di organizzare le giornate e le settimane dei figli, fra campus pubblici e privati, nonni e oratori cattolici. Insomma, fine dello stato di emergenza stagionale che affligge, e non poco, i genitori che lavorano. I bambini, o ragazzi, prendono di buon grado il ritorno alla normalità, con l’eccitata sicurezza che tutto è lì ad aspettarli: compagni di scuola e amici, maestre e professori, amati o odiati, ma parte di un mondo che è il loro, fuori da casa, oltre l’autorità genitoriale. Anche gli utenti dei mezzi pubblici se ne rallegrano. Finalmente le corse di tram e metropolitana torneranno regolari.
Poco prima dell’inizio delle scuole si è consumata, invece, la tragicommedia del #fertilityday, che, solo dal nome così pagano, “giorno della fertilità”, mi ha fatto divertire non poco. Pazienza gli afflati paternalistici e la grevità di alcuni messaggi. Alcuni di quelli argomenti sono utilizzati comunemente da molti, nelle chiacchiere di ogni giorno. Non a caso, il dibattito si è sviluppato fra i sostenitori dello “slancio vitale” e i soliti, solidi, pragmatisti. Fortunatamente chi desidera diventare genitore tira dritto per la sua strada, badando da sé alla propria maturazione biologica, economica e sentimentale, cercando aiuto nella scienza, se serve, o adottando. Le famiglie e i singoli che non desiderano diventare genitori, riempiono la loro vita di altri amori e altre passioni, evviva!
Solo una cosa mi ha infastidito davvero, perché non corrisponde al vero, una dichiarazione della ministra Lorenzin, secondo la quale “la politica della natalità è una cosa da statisti, che deve essere realizzata con una serie di politiche intersettoriali, ma a chi dice che prima serve costruire asili nido rispondo che questi arrivano solo dopo la nascita dei bambini”. Ogni anno la scuola inizia molto prima di settembre per i genitori che devono cercare la sistemazione scolastica per i loro figli, spesso non trovandola, soprattutto se parliamo di asili nido, o trovandola lontano da casa e lontano dal luogo di lavoro. L’inizio della scuola prosegue poi passando in mano a funzionari pubblici e consigli scolastici che si ingegnano a trovare soluzioni per agevolare la frequentazione, attraverso orari di ingresso e uscita, pre e dopo scuola, orari straordinari di ingresso e uscita, perché sia possibile portare a scuola e andare a prendere fratelli che frequentano scuole diverse. Un lavoro estenuante perché la coperta è sempre troppo corta.
Non si tratta di costruire nuovi asili o scuole – metterli a nuovo e in sicurezza, sì, e questa è un’altra brutta storia – ma di creare condizioni per migliorare i servizi esistenti. Sono o dovrebbero essere, politiche di formazione scolastica e di sostegno alle famiglie. Servirebbero più insegnanti, meglio se di ruolo, in tutte le scuole e, ancora di più, nelle scuole materne e nei nidi. Più personale docente e più ausiliari, permettono di offrire orari più estesi, qualità della didattica, continuità del servizio, tutte cose indispensabili per garantire pari opportunità, a prescindere dalla disponibilità economica delle famiglie, e per consentire a entrambi i genitori di cercare – e magari trovare – lavoro, soddisfacente e remunerato. Le politiche di lavoro agile, che verranno, saranno grande cosa, ma prima d’allora la scuola dovrà sposare le necessità – didattica e di servizio – della contemporaneità.